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COLA L’ACQUA SULL’AFFRESCO
E L’EFFETTO È CAROGNESCO

Fabio Isman

A Tivoli nella quattrocentesca chiesa di San Giovanni evangelista, annessa all’ospedale, ci sono dipinti che, per corrispondenze stilistiche, fanno pensare ad artisti come Perugino, Pintoricchio e Ghirlandaio. UNA bellezza ferita dal preoccupante stato conservativo e da chiari segni di umidità. La Asl, proprietaria del complesso, pare intenzionata al recupero. Ce lo auguriamo davvero.

Le chiese degli ospedali sono spesso sfortunate. Poco amate, e si può capirlo: immerse in un contesto scarsamente piacevole; affidate a chi deve provvedere alla salute pubblica, e non all’arte; sovente, nemmeno di primissima qualità. A Tivoli (Roma), tuttavia, ce n’è una che non merita un tale disamore, e alla quale la noncuranza fa davvero assai male. È intitolata a San Giovanni Evangelista. Era ai confini della città: vicino alla Porta dei prati (su cui, lo vedremo, c’è anche un discreto aneddoto) che, ormai, non è più in periferia. Nasce nel Quattrocento, surrogandone un’altra, dedicata a San Cristoforo. Morfologicamente non è niente di speciale: una navata con quattro altari laterali; una facciata settecentesca, però barocca, alquanto semplice, eretta quando sorge l’allora nuovo ospedale; e all’interno, sulla parete di fondo, un affresco obliterato da un altare, che a quei tempi lo aveva sostituito. 


Tuttavia, ed è qui la sorpresa, nel presbiterio compaiono dipinti assai rilevanti. Se ne ignora l’autore: con le motivazioni più varie, sono stati scomodati nomi come Perugino, Pintoricchio e Ghirlandaio; e poi Antoniazzo Romano e Melozzo da Forlì. Finché il realismo di Federico Zeri gli ha suggerito di evocare invece un ignoto “Maestro di Tivoli”, che potrebbe anche essere Battista de Aquila, attivo nella zona. I dipinti sono nelle pareti laterali e sulla volta del presbiterio; e sull’arco trionfale che lo separa dal resto della navata. La quale è totalmente percorsa da un fregio, per qualcuno di Francesco Salviati, un altro gran bel nome dell’arte in quel periodo. 


Nel presbiterio si succedono l’Assunzione della Vergine e la Nascita del Battista alle pareti; le Sibille e San Domenico, sull’arco trionfale; e, sulla volta, gli Evangelisti, i Dottori della Chiesa e il Salvatore benedicente. Le possibilità che appartengano a Perugino, Pintoricchio, o Ghirlandaio discendono da assonanze stilistiche e da alcuni richiami; almeno un tempo, suffragava l’ascendenza a Melozzo un crittogramma, individuato nel 1932 in una scena della composizione, che citava un «forlivese»; ma gli studiosi denegano la scoperta. 


C’è pure chi nota legami con gli affreschi nella parte inferiore della Sistina, conclusi nel 1482; e chi afferma che sarebbero stati usati gli stessi cartoni per le pitture del chiostro, ormai perduto, di Santa Maria sopra Minerva a Roma. La chiesa di Tivoli conserva anche una Madonna col Bambino e santi di Giacomo Zoboli, del 1740; una copia della Madonna Conestabile di Raffaello; un San Giovanni in maiolica, regalo del nipote di Leone X Medici, attribuito ad Andrea della Robbia. 


Ma Valerio D’Angelo, storico dell’arte, allievo pure di Silvia Danesi Squarzina e Augusto Gentili, lancia un allarme. Ha scattato delle foto; poi le ha confrontate con quelle di cinque anni prima: «Lo stato di conservazione delle pitture nel presbiterio è notevolmente decaduto; in particolare la parete di sinistra, con l’Assunta». Spiega che «a un vecchio restauro, certamente inadeguato, si sono assommati i danni compiuti dal sistema d’illuminazione, non più usato ma ancora “in loco”, che hanno lasciato vasti segni di nerofumo e bruciature. Però, soprattutto su quella parete è assai evidente un’infiltrazione d’acqua: colature e depositi fino a terra; le crepe, già presenti, si sono ancora più aperte; tutta la muratura è piena d’umido. E anche all’esterno, sulla strada, si vede una grossa macchia d’acqua».