A Trieste, “città degli affetti”, dopo la morte della madre Malvina Braun, Leonor Fini non volle più mettere piede.
La faceva soffrire troppo l’assenza di quella figura gentile dal volto delicato come un bisquit, il suo porto sicuro, con la quale aveva mantenuto un
rapporto epistolare quasi quotidiano da quando, nel 1931, si era trasferita a Parigi.
Fino al 22 agosto la mostra multimediale Leonor Fini. Memorie triestine, organizzata con l’Assessorato alla cultura del Comune di
Trieste, svela al Magazzino 26 del Porto vecchio, attraverso duecentocinquanta pezzi in gran parte inediti e rari (opere dagli anni Venti agli Ottanta,
documenti, libri, affiche, lettere, foto, abiti e una vasta rassegna stampa italiana e straniera), l’aspetto privato della personalità dell’artista,
analizzando la sua “liaison” con la città in cui fu portata a un anno, da Buenos Aires, dov’era nata nel 1907, dalla madre in fuga da un marito
violento. Una città, Trieste, allora avanzatissima e cosmopolita, sospesa tra pensiero mitteleuropeo e suggestioni italiane, in cui l'artista crebbe a
stretto contatto con la colta borghesia intellettuale, frequentando assiduamente Arturo Nathan, Dorfles, Bazlen, Saba, Svevo e anche il gallerista Leo
Castelli, che influirono in modo fondamentale sulla sua formazione intellettuale ed estetica. Dalla vasta biblioteca dello zio, l’avvocato Ernesto
Braun, imparò ad amare i classici e le avanguardie, prediligendo i romantici tedeschi, che avrebbe fatto conoscere a Max Ernst. Come Bazlen che,
attraverso Trieste, traghettava in Italia la letteratura dell’Est europeo, e Weiss, l’allievo triestino di Freud, che ne divulgava le teorie
dall’avamposto giuliano.
La rassegna, che propone lavori importanti quali Luna del 1982, un introvabile album con quarantanove interpretazioni del gatto e
rarissime porcellane anni Cinquanta con decori della Fini, progettate dall’architetto triestino Guido Andlovitz e prodotte dalla S.C.I. di Laveno
(Varese), ha una premessa: Malvina, di origini dalmate, austriache e veneziane, affrancava le lettere per la figlia nella tabaccheria di un appassionato
gattaro, Giorgio Cociani. Ne nacque un’amicizia, che nel 1969 coinvolse anche Leonor, a Trieste per ricevere il San Giusto d’oro, sfociando in un fitto
scambio di lettere - tema prediletto i gatti, leitmotiv della pittura dell’artista -, proseguito fino alla morte della Fini (1996) e ora in mostra. Per
lui la pittrice creò molte opere, esposte con altre collezioni disegnate per gli amici e parenti triestini più cari, accanto a un approfondimento
grafologico e letterario che confronta la creatività visionaria di Fini, Dorfles e Nathan anche grazie a importanti dipinti e a una video intervista
inedita sull’artista a Gillo, alla sorella di Nathan e ad altri, aprendo così uno squarcio sul milieu culturale triestino dell’epoca.
Proiezioni di luce, le musiche surrealiste di Paolo Troni e il profumo Lolò, com’era nota Leonor a Trieste, creati site specific quali colonne
sonora e olfattiva della mostra, sottolineano la rassegna, che, dopo l’Istituto italiano di cultura di Bruxelles e Trieste, andrà all’IIC (Institut
Culturel Italien) di Parigi.
Grandi mostre. 2
Leonor Fini a Trieste
Testimonianze
d'affetto
Un tour espositivo multimediale rileva attraverso molte opere inedite il rapporto della pittrice surrealista con Trieste, dove arrivò piccolissima con la madre, dopo aver lasciato Buenos Aires, la sua città natale. Ce ne parla qui la curatrice
Marianna Accerboni