Per qualcuno, il genovese Edilio Raggio (1840-1906) era il più ricco in Italia: così si intitola, infatti, la sua
biografia, scritta da Lorenzo Robbiano(*). Conte di nomina reale, deputato di centro- sinistra per trentadue anni, fonda tra l’altro l’Ilva,
la Carbonifera di Novi Ligure, in provincia di Alessandria (che sarà la base delle sue fortune: produceva mattonelle di carbone per le locomotive,
stipulando contratti favorevoli con le Ferrovie e la Marina militare), le acciaierie di Cornigliano (Genova), dotate di macchinari all’avanguardia; con
quattro bastimenti, una flotta di quattromilaquattrocento tonnellate tra le prime a vapore, trasferisce gli emigranti in America del Sud. La sua Società
commerciale di navigazione, dedicata al trasporto di carbone, si accresce a vista d’occhio: in dieci anni, dal 1897, passa da nemmeno novemila
tonnellate di dislocamento a ventisettemilacinquecento. E sono soltanto alcune delle decine tra le sue iniziative.
A Genova compera palazzo Balbi, nell’omonima via. E, ispirato da quello triestino di Miramare, edifica nella città della Lanterna un castello a
picco sul mare, costato una somma enorme per l’epoca, seicentosessantamila lire; purtroppo, è abbattuto nel 1951, per lasciar posto all’aeroporto e al
complesso siderurgico Oscar Sinigaglia dell’Italsider. Si valutava che, alla sua morte morte, Raggio possedesse un patrimonio di quasi un miliardo di
euro attuali.
A trentatre anni, orfano di padre, crea un’azienda a Novi Ligure, dove vuole la villa Minetta, il cui nome deriva dall’orafo che ne iniziò la
costruzione: sei ettari di parco, tre corpi di fabbrica alti fino a cinque piani. Raggio la trasforma totalmente. Vi ospita anche Vittorio Emanuele II e
il futuro Umberto I. La città possiede un ospedale grazie a una sua donazione, per i tempi esorbitante; quando se ne va, come da istruzioni, il figlio
paga i debiti al Banco di pietà di tutti gli abitanti. Se il capoluogo ligure era stato il suo luogo natale, la città con il nome di una regione, che
tuttavia fa parte di un’altra, è il cuore della sua esistenza. A Novi, impianta anche un cotonificio, cinquecento occupati nel 1886, che sarà tra i
maggiori nella regione. E nel parlamento, rappresenterà proprio quel collegio, per ben dieci legislature.
Alla Minetta riceve alcune tra le più significative intelligenze e numerosi tra i maggiori industriali di quegli anni. La villa è abbastanza
eterogenea: probabilmente il frutto di varie giustapposizioni. Tutta in bianco e in rosa, con statue nelle nicchie; fregi e vetrate; negli interni,
marmi, affreschi e colonne. Un insieme assolutamente sontuoso. Nel parco, limonaia, serra, scuderia, la casa del custode e il deposito per i trattori. A
Edilio succede il figlio Carlo, che però, attorno al 1930, trasloca altrove: verso Gavi (Alessandria). E per villa Minetta inizia così un progressivo
declino. È chiamata anche la Villa del vinaio, per le migliaia di bottiglie accatastate in cantina. La seconda guerra mondiale la vede, prima, sede di
un comando nazifascista (forse, vi risiede perfino il maresciallo Rodolfo Graziani); poi, del quartier generale americano.
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LA DIMORA DEL PIÙ RICCO
SE NE STAVA ANDANDO A PICCO
Fabio Isman