In vita era ricercato da frotte di committenti per realizzare opere grandiose e costosissime, oggi rimane un nome
fondamentale dell’arte veneziana del Cinquecento ma le sue quotazioni non ricordano neanche da lontano quelle di Tiziano o Tintoretto. Paolo Caliari o
Paolo Veronese (1528-1588), come si faceva chiamare a seconda dei periodi, è noto soprattutto per i suoi dipinti sontuosi, di dimensioni importanti,
popolati da miriadi di figure, uomini e animali. Li ammiriamo nei grandi musei e nelle ville venete, non certo sul mercato, che quindi viene meno
solleticato da quanto viene proposto. Eppure l’eccellente dote di colorista di Veronese risaltano in ogni sua opera. Non mirava certo a creare
contrasti, o toni cupi e accesi come i suoi più quotati concorrenti, ma un’armonia complessiva per cui era divenuto celebre.
Allegoria della città di Venezia che adora la Madonna e il Bambino è tipica in questo senso: il celeste pallido, l’oro, il rosso forte ma
non troppo, gli altri colori tenui che si intravedono qua e là, tutto è amalgamato dalla luce intensa che pervade la tela senza mai diventare
aggressiva. Veronese creò quest’opera nella sua maturità per destinarla al Palazzo dei camerlenghi, dove si trovava una mitica collezione di duecento
opere e splendide tele, poi disperse o perdute con il Sacco di Venezia da parte delle truppe napoleoniche. Questa nobile provenienza, esaltata dai
successivi passaggi in magioni di rilievo come quella dei coniugi Marcos, che hanno a lungo governato la Repubblica delle Filippine, richiamò notevole
interesse il 15 aprile 2008 da Christie’s di New York. Il dipinto venne così aggiudicato per 1,57 milioni di euro, il doppio del prezzo che era stato
pagato l’11 gennaio 1991 nella stessa sala. Una cifra notevole – anche se lontanissima dai 12 milioni di euro pagati per la Sacra conversazione di
Tiziano (Sotheby’s, New York, 27 novembre 2011) – e chiaramente più alta delle altre registrate in asta, nonostante la rarità delle tele di Veronese sul
mercato, dove ne viene offerta una di sua mano solo ogni paio di anni.
Fra quelle proposte più recentemente, si fa notare Il riposo al ritorno dall’Egitto, presentata da Sotheby’s di Londra il 6 dicembre
2017. Il tema sacro non ha certo grande appeal, ma la dimensione è discreta per le tele sul mercato (154 x 166 cm), la composizione lascia più respiro,
più spazio alla natura sullo sfondo, mentre fra le figure si instaura un dialogo armonico e ben bilanciato. La scena è fra quelle care a Veronese – ne
troviamo esempi nei musei di Sarasota (Florida) e di Ottawa (Canada) –, ma non abbastanza da spingere la stima oltre i 220-340mila euro e soprattutto il
prezzo di vendita oltre i 237mila euro. Meglio comunque di un’altra tela religiosa, Cristo in gloria, che Dorotheum presentò a Vienna il 18
ottobre 2016. Vero è che la tela non è un tipico Veronese, con una sola figura che si staglia al centro, su uno sfondo chiaro e luce intensa, e gli
angeli intorno ma ritratti solo in parte (sono visibili solo la testa e le ali). Una rappresentazione da piena Controriforma che è stata pagata 150mila
euro.
Si potrà dire che le scene religiose sono in caduta libera sul mercato, che in genere la pittura classica sta perdendo appeal – anche se qui siamo
di fronte a un mostro sacro come Veronese – ma gli eventi dello scorso 22 aprile da Christie’s di New York hanno lasciato un’impressione ben diversa. È
stata offerta I simboli dei quattro evangelisti, una tela di buona dimensione (82 x 165 cm) risalente agli anni Settanta del Cinquecento, come
il top lot, e soprattutto in pieno stile Veronese. Gli animali sono rappresentati con un naturalismo impressionante, l’angelo al centro è colorato con
una tavolozza chiara, non aggressiva e ben bilanciata, il libro che tiene in mano pare muoversi nello spazio. Da sottolineare la maestria nell’adattare
le dimensioni al punto di vista dell’osservatore che doveva porsi piuttosto in basso. Quel che pare più contare è però la provenienza, perché la tela,
dopo essere stata creata per il palazzo nobiliare veneziano dei Pisani, era passata per la collezione del principe del Liechtenstein e poi per le stanze
dei Contini Bonacossi di Firenze. Venne presentata da Sotheby’s di New York il 25 gennaio 2001 e venduta per 470mila euro, ma lo scorso aprile la musica
da Christie’s è stata del tutto diversa e, dopo un lungo battagliare, è passata di mano per 1,2 milioni di euro, raddoppiando la stima iniziale.
Per raggiungere vette di prezzo non basta che si tratti di un Veronese autentico: ci vuole una provenienza di spicco, un’iconografia non
tipicamente religiosa, una buona dimensione. Non è poco.