Arte Contemporanea

MONTE VERITÀ
RINNOVATO

di Cristina Baldacci

Il complesso museale sul Lago Maggiore, nel Canton Ticino, dopo gli ultimi restauri, è pronto a ripartire. Ne abbiamo parlato con Nicoletta Mongini, responsabile cultura della Fondazione Monte Verità

Dopo una prima fase di restauri cominciati nel 2009, che hanno portato, nel maggio 2017, alla riapertura del museo Casa Anatta, il complesso museale di Monte Verità (costituito inoltre dalle capanne aria-luce Casa Selma e Casa dei russi e dal padiglione Elisarion) si è di recente ulteriormente rinnovato incentivando anche il programma delle sue attività. 


Questo luogo magico, immerso nella natura sopra ad Ascona, sul lago Maggiore, oggi proprietà del Canton Ticino, nacque agli inizi del Novecento come colonia di utopisti (vegetariani e teosofi) che sognavano un mondo migliore. Meta di artisti e intellettuali negli anni Venti- Trenta, fu riscoperto da Harald Szeemann negli anni Settanta. Da buon mitteleuropeo, il funambolico curatore svizzero ci vide un ideale «punto di incontro tra Nord e Sud» e se ne innamorò, decretando al contempo la sua sopravvivenza e fortuna. Per conoscere le novità in programma, abbiamo intervistato Nicoletta Mongini, responsabile cultura della Fondazione Monte Verità.

Dopo la ristrutturazione del museo Casa Anatta, sede del riallestimento della storica mostra szeemanniana Monte Verità. Le mammelle della verità (1978), e attualmente anche della concomitante Le verità di una montagna di Andreas Schwab, l’opera di restauro più ingente è stata quella del ciclo pittorico Il chiaro mondo dei beati (1920-1939) di Elisàr von Kupffer nel padiglione Elisarion. Quale valore ha questo dipinto per Monte Verità e che cosa ha significato il suo restauro?

La riapertura del padiglione Elisarion completa innanzitutto il complesso museale di Monte Verità, restituendo anche l’ultimo elemento che faceva parte della mostra allestita da Harald Szeemann. Il chiaro mondo dei beati è da considerarsi un’opera totale, come l’aveva definita il grande curatore. Le sedici tele che compongono il polittico di quasi nove metri di diametro sono infatti accompagnate da versi poetici scritti dallo stesso artista e rappresentano una sorta di manifesto del clarismo, un movimento filosofico-religioso orientato all’emancipazione sociale e sessuale che Von Kupffer aveva fondato. Realizzato tra il 1920 e il 1939, il dipinto è stato annesso all’esposizione di Szeemann come espressione di una delle grandi utopie che si sono raccolte in questo lembo del Canton Ticino.