Studi e riscoperte
Le muse onorate del Novecento

REGINA,
BENEDETTA & CO.

Nel Novecento in Europa, e non solo, sono state molte le artiste messe in ombra dalla famiglia o dai mariti più celebri. In Italia, invece, sempre più di frequente, le artiste hanno lavorato a fianco dei compagni da pari a pari, a dispetto di una società che cercava di farle rimanere un passo indietro.

Lauretta Colonnelli

Regina Prassede Cassolo era figlia di un macellaio, nata a Mede Lomellina in quel tratto di pianura racchiusa tra il Po, il Ticino e il Sesia, dove si susseguono a perdita d’occhio le risaie. Luigi Bracchi aveva radici nella buona borghesia di Tirano, paese incoronato dalle Alpi nel cuore della Valtellina. Si incontrarono all’Accademia di Brera e nel 1921 si sposarono. Non potevano esserci artisti più lontani l’uno dall’altra. Luigi legato ai paesaggi della sua terra, dipinti in quadri che sembrano appartenere al vecchio verismo ottocentesco e tuttavia molto apprezzati dai collezionisti. Regina interamente dedicata alla scultura e lanciata nella sperimentazione più audace, attratta da ogni invenzione e da tutte le avanguardie, dal futurismo degli anni Trenta fino al Movimento per l’arte concreta del dopoguerra. Aveva cominciato col mettere alla prova i materiali industriali più poveri e insoliti, latta e stagno, celluloide e alluminio, acquistati in fogli lucenti e malleabili, che richiedevano l’abbandono delle tecniche tradizionali della scultura in favore di un lavoro simile a quello di una sarta: taglio, piegatura, avvolgimento. I suoi bozzetti preparatori in carta, con i labbri dei tagli fissati da spilli, assomigliano ai modelli dei vestiti prima della cucitura. Nascono così la Danzatrice e L’amante dell’aviatore, la Piccola italiana e la Maschera, sculture che si riempiono d’aria grazie alla sottigliezza degli strati metallici sovrapposti e la figurazione che prende forma anche attraverso i vuoti, come vent’anni prima aveva auspicato Umberto Boccioni, invocando «l’assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa», e invitando a spalancare la figura e a chiudere in essa l’ambiente.