Cammina lentamente, un passo dopo l’altro, cadenzato, da escursionista esperto, zaino in spalla, da solo, lungo la
strada bianca Droga Oswalda Balzera (nella città di Zakopane, in Polonia). Ma il pietrisco non si vede. C’è solo neve, l’ultima neve dell’anno,
bianchissima e soffice, che ricopre le vette dei monti Tatra che svettano oltre una distesa di abeti che si perde all’infinito. È il 23 marzo del 1957,
da due giorni è primavera. Fra due giorni, con il Trattato di Roma, nascerà la Comunità economica europea (CEE). Andrzej è solo.
Si deve essere sentito libero, felice. Il taccuino sempre con sé nella tasca, per bloccare un’idea, se mai venisse.
Ama camminare, mancheranno un paio d’ore. Ma si accorge che ha il fiato rotto da un affanno che non immaginava, e avverte il sudore che gli
attacca la maglia sulla schiena. L’attrezzatura tecnica è solo un giaccone più pesante. Ed è adesso che lo colpisce un attacco di cuore. Un cuore
malato, forse per una tara di famiglia. E sa bene cosa significhi, perché la stessa cosa successe a suo padre, davanti ai suoi occhi, quando il 26
agosto del 1941 al termine di una perquisizione nella casa di famiglia da parte dei soldati tedeschi morì d’infarto, di schianto.
Non c’è nessuno. Passano in pochi tra Toporowa Cyrhla e Zazadnia (incrocio che si trova sulla stessa Droga Oswalda Balzera) a quell’ora, in quella
stagione di mezzo. Andrzej deve aver provato ad accelerare il passo, poi si deve essere seduto a terra, impotente. Forse, come hanno ipotizzato alcuni,
collassa per una crisi epilettica e rimane vittima dell’ipotermia.
Così lo ritroveranno, sdraiato al bordo della strada, coperto da un velo di neve. Non aveva ancora compiuto trent’anni.
Lo so. Un inizio a effetto, e un po’ me ne vergogno.
Non è sollecitando gli aspetti morbosi che si fa cultura, sono il primo a pensarlo, e non basta avere la biografia breve per diventare geni o
eroi. Ma, come sempre, la riflessione sulla morte, sistematicamente rimossa, permette, secondo me, di rileggere il flusso della vita e della creatività,
immaginando la traiettoria di una parabola che si spezza, come farebbe un esperto di balistica. E questa è la storia di un giovane artista, uno dei più
amati oggi in Polonia, tra i più straordinari dal secondo dopoguerra, anche se quasi sconosciuto dalle nostre parti. Un ragazzo con gli occhiali che,
rispetto all’astrattismo di quegli anni verso il quale tutti sono attratti come spinti da una forza centripeta, riscopre il figurativo. Ma Wróblewski va
oltre, scardina la retorica del realismo socialista al quale aveva creduto da studente, diventando un punto di riferimento per generazioni di artisti
venuti dopo di lui.
Outsiders
LA VITA È UN’ORMA
SULLA NEVE
Alfredo Accatino