Finestre sull'arte

Un fior fiore
di mistero

di Federico D. Giannini

La Fondazione Paolo e Carolina Zani di Cellatica (Brescia) ha messo in mostra uno dei capolavori della sua collezione: una natura morta del XVII secolo di cui si ignora l'autore ma che ha risvegliato l'interesse di studiosi e appassionati

Poche nature morte sono al contempo singolari e misteriose come quella che, fino al 10 ottobre, è al centro di una piccola mostra- dossier alla Fondazione Paolo e Carolina Zani di Cellatica, alle porte di Brescia. È la casa museo che ospita la raccolta dell’imprenditore e collezionista Paolo Zani, riflettendo il suo gusto, le sue inclinazioni stilistiche, le sue scelte, le sue esigenze. È divisa in undici ambienti, con tanto di giardino e loggiati: all’interno, sculture, dipinti, nonché straordinari pezzi d’arte applicata, soprattutto del Sei e del Settecento. Il visitatore che vi entra si troverà avvolto da arredi barocchi e rococò, dipinti di Giambattista Tiepolo, François Boucher, Pietro Longhi, Alessandro Algardi e altri grandi artisti soprattutto del Settecento, commodes dell’epoca, tavoli intarsiati, vasi cinesi, elaboratissime appliques, arredi di manifattura veneziana del XVIII secolo.

Un posto d’onore spetta proprio alla natura morta, protagonista dell’esposizione in corso, e che fa parte della collezione permanente della casa museo. Non si sa chi sia l’autore: eppure, l’anonimato dietro il quale si nasconde il pennello che ha dipinto questo capolavoro del 1625-1630 circa non ha impedito a Paolo Zani di acquistarlo nel 2004. Sopra un tavolo coperto di velluto verde si allineano tre vasi: uno, al centro, d’argento e due, ai lati, in bronzo dorato. Contengono tre coloratissimi bouquet floreali, nei quali gli esperti di botanica hanno individuato oltre sessanta varietà. E poi, tra i vasi, ecco comparire uno scoiattolo e un pappagallo della specie “Ara chloropterus”. Lo scoiattolo, antico simbolo diabolico, è raffigurato nell’atto di mangiare una noce, potente simbolo cristologico. Potrebbe dunque essere un’allegoria del peccatore redento attraverso la parola di Cristo annunciata dal pappagallo (si riteneva che l’animale fosse in grado di pronunciare la parola “Ave”, ed è pertanto animale mariano per eccellenza).

Certo, conoscere la cultura di provenienza dell’artista potrebbe essere d’aiuto: non abbiamo però informazioni al riguardo, benché molti concordino sul fatto che il pittore si riferisca a evidenti modelli olandesi o fiamminghi. Lo studioso Davide Dotti, per esempio, ipotizza che l’autore sia italiano, legato all’ambiente caravaggesco ma influenzato da modelli nordici. Alberto Cottino, nel saggio redatto per il catalogo della mostra, sottolinea come dal dipinto si evinca «la pratica della cultura classica, che presuppone una frequentazione italiana». La questione è complessa: potrebbe trattarsi di un artista nordico inserito nella cultura italiana, o di un italiano che guardava al Nord. 


Certamente si tratta di un capolavoro. La mostra, ci spiega Massimo Capella, direttore della Fondazione, «ha una duplice ragione per essere considerata di grande valore culturale. Da un lato, ci permette di restituire la centralità a un’opera straordinaria nel corpus pittorico della casa museo, particolarmente amata dal collezionista Paolo Zani e, stilisticamente, di altissimo livello. Ci consente poi di spiegare al grande pubblico come un dipinto possa essere al contempo un capolavoro storico artistico e una fonte iconografica imprescindibile per lo studio della botanica nell’età barocca». Un capolavoro che, adesso, torna al centro dell’attenzione di pubblico e studiosi.