Nel Paese di Bengodi immaginato da Boccaccio nella novella del Decameron dedicata a Calandrino e
all’elitropia, «si legano le vigne con le salsicce» a indicare la ricchezza di una contrada, tanto agiata e abituata a piaceri gastronomici, da poter
relegare a usi agricoli lunghe sfilze di saporiti insaccati.
La salsiccia fa parte dell’immaginario collettivo come preparazione succulenta: un budello di maiale riempito di carne tritata, con l’eventuale
aggiunta di verdure. Elementi ricorrenti il sale, i condimenti, le spezie a renderla più o meno piccante, la forma allungata.
Il termine italiano, derivato dai latini “salsus” (salato) e “insicia” (carne finemente tagliuzzata), transitando attraverso il toscano, in veste
di “salsiccia” ha conquistato la penisola, pur in innumerevoli varianti dialettali.
Le origini sono antichissime: Omero nell’Odissea parla di uno stomaco di animale riempito di grasso e sangue, Cicerone cita quella
pregiata proveniente dalla Lucania, mentre la descrive compiutamente il De re coquinaria attribuito ad Apicio. Diffusissima in infinite
varietà, la salsiccia può essere chiara o scura, affumicata, più o meno stagionata, da mangiare subito o fatta seccare, conservata a lungo nello strutto
oppure deperibilissima, dal composto passato finemente o lavorato “a punta di coltello”.
Insaccati di varie forme e toni cromatici compaiono nel dipinto di Pieter Aertsen (Amsterdam 1508 - 1575) datato 10 marzo 1551, che rappresenta
una pietra miliare tra le rappresentazioni nordiche in cui una natura morta è unita a scene sacre e di genere, con la giustapposizione e inversione
dimensionale dei soggetti.
Gusto dell'arte
Ne parlava
già Omero
Ludovica Sebregondi