Pagina nera

UNA NORMA È IN ATTESA; 
MA SENZA, SARÀ LA RESA

Fabio Isman

Se ne parla da tanto tempo ma finora nel nostro paese non c’è stata ancora una svolta decisiva per il traffico illecito dei beni culturali. Confidiamo tuttavia in un epilogo positivo, visto che un disegno di legge, approvato tre anni fa dalla Camera dei deputati, aspetta solo il benestare da parte del Senato. E visto che il ministro Franceschini non intende mollare la presa.

Il magistrato Paolo Giorgio Ferri spiegava che nel nostro paese «si corrono più rischi a farsi sorprendere mentre si rubano un paio di jeans che non a scavare illegalmente un vaso dal sottosuolo; siamo assai più severi con i contrabbandieri di sigarette che con quelli di antichità». Ferri se ne è andato un anno e mezzo fa; da tempo aveva lasciato la toga; è stato lui a scoprire l’infame calderone del mercato clandestino dell’arte: oggetti emigrati senza controlli anche grazie alle compiacenze delle case d’asta, reperti scavati di frodo e recapitati (allora) ai maggiori musei del mondo. Tutto inizia dal cratere su cui Eufronio ha dipinto La morte di Sarpedonte, scavato a Cerveteri (Roma): nel 1972, il Metropolitan Museum of Art lo compera per un milione di dollari, cifra fino ad allora mai raggiunta da un’antichità; e l’insano artigianato dei “tombaroli” si fa vera e propria industria, scopre un mercato fino a quel momento inesistente.

Le indagini iniziano a metà degli anni Novanta, quando l’infame traffico viene alla luce. A quei tempi, a capo dei “carabinieri dell’arte” erano Ugo Zottin e Giovanni Nistri, che poi, per tre anni, è stato anche comandante generale dell’arma. Lui e Ferri insieme ai loro collaboratori e a pochi altri, tra cui Maurizio Fiorilli, allora vice avvocato generale dello Stato, mettono a punto una legge che allineasse il nostro agli standard degli altri paesi del mondo: molti avevano da poco riformato le proprie norme, anche per lo scandalo internazionale seguito proprio a quelle inchieste italiane. Almeno perché, tra la lievità delle pene e la prescrizione assai presto in agguato, l’impunità non fosse, in realtà, quasi sempre garantita.

Poi, sono giunti i governi di centro-destra, e non se n’è fatto più nulla: la proposta non è nemmeno arrivata nelle aule parlamentari. Ha riesumato quell’esigenza l’attuale ministro, Dario Franceschini: mentre scrivo, un disegno di legge è stato approvato dalla Camera dei deputati il 18 ottobre 2018; ma da quasi tre anni, al Senato, attende la delibera definitiva. Per comprendere quanto sia importante, bisogna fare un salto indietro. Tornare ai tempi dei grandi recuperi e delle restituzioni dai musei stranieri all’Italia, nel primo decennio del Duemila: tanto importanti quegli oggetti riconsegnati al nostro paese che, per la prima volta, sessantotto capolavori sono accolti in una mostra al Quirinale intitolata Nostoi, capolavori ritrovati, inaugurata dal presidente Giorgio Napolitano il 21 dicembre 2007. Dal Volto d’avorio, il maggior brano di scultura crisoelefantina (avorio e oro) che sia pervenuto dal naufragio dell’antico (scavato da Pietro Casasanta: per il “Wall Street Journal”, «re dei tombaroli»), al Trapezophoros: due grifoni che sbranano una cerva, un sostegno di mensa rituale lungo quasi un metro e mezzo, in marmo policromo, scavato tra il 1976 e il 1978 ad Ascoli Satriano (Foggia) e rimasto ventidue anni impunito nelle vetrine del Getty Museum di Malibu, finché non se ne sono trovate le foto, di quando era stato appena estratto nel Porto franco a Ginevra, tra le immagini del “trafficante” Giacomo Medici.

Dal 1996, si scopre infatti la grande razzia di beni culturali, avvenuta nella penisola dagli anni Settanta. Secondo l’Università di Princeton, soltanto dal 1970 al 1996 oltre un milione e mezzo di reperti sono stati scavati illegalmente, molti poi commerciati. Il clamore è enorme: investe grandi musei; svariati paesi rivedono le proprie leggi, allineandosi magari alla Convenzione Unesco del 1970, approvata da centotrentadue Stati, che, per la prima volta, definisce e colpisce severamente il traffico illecito dei beni culturali. Come non mai, la Svizzera, fino ad allora troppo ospitale, stipula con il nostro paese un accordo bilaterale sui traffici d’arte; i direttori dei musei americani decidono di non acquistare più nulla senza un “pedigree” sicuro e precedente al 1970.

Per carità, restano ancora diversi problemi: il Giappone, per esempio, riconosce i furti e restituisce gli oggetti, ma solo se esiste già una denuncia (e nulla si sa degli scavi di frodo, finché il pezzo non emerge in un museo, o in una collezione: difficile denunciarli in anticipo); la Gran Bretagna combatte queste violazioni, ma solo per gli acquisti illegittimi successivi al 2003, anno in cui ha approvato la Convenzione Unesco. La stessa Inghilterra il 30 ottobre 2003 ha ratificato una norma che trasforma l’illecito commercio di beni culturali in un reato penale (sono previsti fino a sette anni di carcere); ma bisogna dimostrare che l’acquirente conosca l’illecita origine del bene, o, almeno, non sia in buona fede: un po’ complicato. Anche gli Stati Uniti hanno stipulato un Memorandum abbastanza rigoroso con l’Italia. Anzi, di recente hanno anche varato una legge ancora più rigorosa, perché, spiega John Byrne, autorevole legale già del Dipartimento alla giustizia, «da anni, la criminalità organizzata, gli oligarchi e i terroristi utilizzano i beni culturali per spostare fondi illeciti» . Ma l’allora presidente Trump oppose il veto; il Parlamento l’ha rimosso, e ora staremo a vedere.