James Ensor è una specie di ostrica irta di spine e chiusa da una serratura inespugnabile. Difficile da frequentare, per i suoi contemporanei, e da comprendere, per i medesimi e anche per i suoi posteri. Eppure apprezzato; come artista, evidentemente, non per la piacevolezza del carattere. Era, pare, affetto da una misantropia patologica, invidioso, irascibile e tendenzialmente bugiardo, difensore ossessivo dalla propria privacy, sgarbato con i colleghi, fortemente critico (eufemismo che non restituisce la perfidia di certe sue dichiarazioni) nei confronti dell’arte “borghese” del suo tempo e dell’indole dei suoi concittadini. Un anarchico sprezzante, eccentrico, colto ed elegante, chiuso in casa con la famiglia, a sua volta relegata nella cittadina di Ostenda. Ricercato da donne che gli furono devote nonostante le tenesse sistematicamente a distanza. Incatalogabile sulla base delle tradizionali appartenenze a correnti o movimenti, viene comunque considerato un innovatore, un modello per l’intera esperienza espressionista, uno dei più originali, feroci e visionari testimoni dello spirito del tempo in cui visse e lavorò. In realtà per poco, come artista, visto che in questo ambito – a parte gli anni di formazione – si esercitò, creò, espose con costanza poco più di una decina d’anni. Per poi dedicarsi alla musica.
Un Bruegel o un Bosch di fine Ottocento; un fiammingo doc, quindi, pittore di maschere ghignanti e scheletri danzanti, riduzione e sintesi del
campionario umano che vedeva attorno a sé.
Tutto questo a Ostenda, che negli ultimi decenni del XIX secolo iniziava la sua carriera di amabile e sonnacchiosa località balneare, al centro di
un’infinita distesa di dune affacciate sul mare del Nord. La Belle Époque la stava popolando di regnanti, nobili famiglie e ricchi borghesi, e delle
loro ville (delle quali molte ormai scomparse).
In quel periodo il lato femminile della famiglia del pittore optò per il redditizio commercio di souvenir, oggetti esotici, maschere di carnevale, con un negozio al pianterreno della casa di residenza. Quella casa dallo scorso mese di giugno, dopo un restauro e un riallestimento-estensione degli spazi, è diventata un museo dedicato al più illustre degli artisti di Ostenda.
James Ensor visse in questa casa con il suo maggiordomo fino alla morte, nel 1949. Ed è utile, probabilmente, provare a mettersi in qualche modo nei suoi panni – in questo elegante edificio d’angolo nel cuore di Ostenda –, a immaginare la città, il mare, il piccolo mondo che girava attorno a quel guscio protettivo che era insieme casa e atelier (la mansarda). È un tentativo di immersione in un mondo forse inafferrabile, il mondo interiore di una personalità complessa. Mobilio originale, riproduzioni al naturale, oggetti, maschere, video tematici, una app interattiva che accompagna nei luoghi di Ensor in città aiutano nell’impresa. Forse anche guardare dalla finestra del suo studio, verso il mare, pensando che quel cielo era già così, pieno di luce nonostante tutto, come in molti suoi dipinti.