Grandi mostre. 5
Venere a Mantova

la dea
si svela

Colei che è universalmente riconosciuta come simbolo di amore e bellezza non è esente da aspetti oscuri e contrastanti. L'esposizione a palazzo Te fa luce sul mito di Venere, protagonista negli affreschi e nelle decorazioni della dimora cinquecentesca.

Marta Santacatterina

Non è semplicemente una delle tante divinità della mitologia antica. Venere è molto altro, e lo dimostrano le numerose sfaccettature che ha assunto fin dall’epoca dei grandi autori greci e latini: per Lucrezio rappresenta la forza generatrice della natura, per Plinio è emblema della bellezza femminile in pittura, per Platone è sia la dea dell’amore celeste, casto e puro, sia la dea dell’amore terrestre e della fecondità, mentre per Pausania è simbolo di lussuria. Una figura complessa e amatissima – come potrebbe essere altrimenti? – anche dagli artisti che, in nome della sua bellezza, l’hanno sovente scelta come soggetto delle loro opere.

VENERE, SORPRESA DA MARTE, MENTRE PUNTA IL DITO VERSO L’OSSERVATORE PRESO DI MIRA ANCHE DA CUPIDO NELL’ATTO DI SCOCCARE LA SUA FRECCIA

A Venere, o Afrodite che dir si voglia, Mantova ha dedicato una serie di iniziative che si sono susseguite dalla primavera scorsa. Il progetto complessivo, Venere divina. Armonia sulla terra, deriva da un’idea di Stefano Baia Curioni, direttore della Fondazione palazzo Te, che all’inizio avrebbe voluto ricostruire idealmente i camerini con i ritratti delle “belle” di casa Gonzaga, inserendovi anche un focus su Venere. L’emergenza sanitaria ha però costretto a sovvertire i piani e a convogliare gli sforzi sulla dea e sul suo mito, con incursioni nel suo rapporto con la natura e la bellezza. Palazzo Te si è rivelato il luogo ideale per gli eventi perché è un «palazzo del Mito», dove, grazie agli affreschi di Giulio Romano e dei suoi collaboratori, si «ripropone alla nostra contemporaneità l’irruzione della narrativa mitologica di tradizione greca e antica»(1).

Il ciclo di eventi è stato suddiviso in tre momenti principali: nel primo, Il mito di Venere a palazzo Te, sono stati esposti (fino al 12 giugno) una statua di Afrodite velata del II secolo a.C. appartenuta a Giulio Romano che la portò alla corte dei Gonzaga e un prezioso arazzo, su cartone dello stesso artista, prodotto in città, entrambi prestati dal vicino Palazzo ducale. Contestualmente, Claudia Cieri Via ha condotto uno studio approfondito sugli affreschi e sulle decorazioni di palazzo Te, concentrando in particolare l’attenzione sul sorprendente repertorio di oltre venticinque Veneri grandi e piccole, dipinte o in stucco, che sono state valorizzate grazie a una migliore illuminazione. La ricerca di Claudia Cieri Via è stata pubblicata in un volume(2) nel quale ben emergono i legami tra l’apparato illustrativo di Giulio Romano – basti citare le scene raffigurate nella Camera di Amore e Psiche, dove Venere è tra i protagonisti – e la ripresa dei modelli antichi di Afrodite, conosciuti dall’artista a Roma mentre collaborava nella bottega di Raffaello.