«Carlo Alberto voleva e disvoleva». La famosa frase di Santorre di Santarosa, figura mitica della nostra storia
risorgimentale, mi torna alla memoria mentre penso alla triste condizione di un luogo fondativo della nazione, la Cittadella di Alessandria. Duecento
anni fa, il 10 marzo 1821, in questo straordinario complesso militare settecentesco sventolò il primo tricolore del nostro paese. L’insurrezione della
guarnigione di Alessandria, l’abdicazione di Vittorio Emanuele I, lo scontro tra Carlo Felice e Carlo Alberto (soccombente): l’embrione di quella lotta
per i diritti e la Costituzione che avrebbe poi fatto l’Italia. La Cittadella, vastissima e abbandonata, si presenta oggi in uno stato di degrado
apparentemente senza scampo…
«Un machete. Ecco cosa ci vorrebbe per solcare come Indiana Jones la giungla infestante che sbarra fino ai tetti certi passaggi tra una caserma e
l’altra della Cittadella d’Alessandria. Che vergogna… C’è da arrossire davanti alle discariche di immondizia tra i ruderi degli edifici crollati. Alle
vagonate di amianto, frigoriferi scassati e rifiuti velenosi abbandonati in un capannone in disuso dalla saracinesca sventrata. Ai resti di libri
bruciati buttati qua e là. Alle tegole schiantatesi a terra dove “per legge non si possono toccare”. Alle muraglie di vegetazione dietro le quali puoi
solo intuire l’esistenza dei bellissimi bastioni settecenteschi. Agli alberelli che spuntano tra i comignoli.
Agli alberi che si sono ingoiati i tetti facendoli crollare». Così un benemerito della tutela del nostro patrimonio, protagonista di tante
battaglie, Gian Antonio Stella, sul “Corriere della Sera” lo scorso 7 giugno. Un grido di dolore che si unisce a quello del Fai, pieno di buona volontà
nella cura di questo monumento. Ma il Covid ha fermato tutto. Lo Stato è assente. Forse l’Europa? Il PNRR? Ma se gli italiani non sono in grado di amare
e conservare la propria Storia, difficilmente qualcuno lo farà per loro.
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