L’uscita di una monografia di cinema permette spesso di rifare il punto sulla produzione di un regista e soprattutto
di tracciare meglio le coordinate del suo percorso artistico. Se poi si tratta del quasi novantenne Roman Polański, autore di oltre una trentina di film
tra corti e lungometraggi, la cosa è particolarmente gradita. Tenebre splendenti - Sul cinema di Roman Polański (2021) di Marco Luceri è uscito
dopo L’ufficiale e la spia (J’accuse, 2019), ultima opera di Polański, premiata con il Leone d’argento e il Gran premio della giuria a Venezia
(tre anni prima, invece, il regista era stato escluso dall’Accademia degli Oscar per essere stato accusato di molestie sessuali nel 1977).
Inoltre la sua vicenda biografica ai tempi dell’omicidio della moglie Sharon Tate è stata di recente raccontata al cinema da Quentin Tarantino in
C’era una volta a… Hollywood (2019). Non capita spesso a un regista di diventare personaggio di film. Il libro di Luceri, pubblicato da ETS,
indaga in particolare lo statuto dello sguardo umano e dei luoghi, specialmente quelli chiusi (appartamenti, teatri, stanze) e il loro configurarsi per
il regista come spazi del perturbante. Uno sguardo, quello di Polański, che oscillando tra oggettivo e soggettivo e optando di non scegliere tra le due
alternative, obbliga lo spettatore a insediarsi in questa scomoda zona di confine in cui dominano l’ambiguità, lo smarrimento, il dubbio. Chissà che in
questa sua presa di posizione non c’entri la sua stessa non ben definibile identità: ebreo-polacco, americano-parigino, il più occidentale dei registi
dell’Est Europa…
Il rapporto vittima-carnefice, centrale in molti film, diventa spesso nel suo cinema metafora del potere degli individui: è così nello
straordinario Venere in pelliccia (2013) e, allargandosi alla società, è così in L’ufficiale e la spia. In sintesi, in questa ultima pellicola
si narra come la Francia di fine Ottocento covi in sé tutti i germi che esploderanno pochi anni dopo in Germania col nazismo e Polański sembra suggerire
che come il nazismo poteva attecchire in un luogo diverso dalla Germania, allo stesso modo può farlo oggi in un’altra società ed epoca. Ecco perché il
regista si dedica, da anatomopatologo della natura umana e degli ingranaggi sociali, alla minuziosa ricerca dei meccanismi di falsificazione e
manipolazione della realtà da parte del potere. I riferimenti al mondo della pittura, quando sono presenti come in Che? (1972),
La morte e la fanciulla (1994), e anche in L’ufficiale e la spia, sembrano allora sguardi su un altrove insondabile e irriducibile.
Camera con vista
POLAŃSKI, ANATOMOPATOLOGO
DELLA NATURA UMANA
di Luca Antoccia