«Mi dette della “tolstojana”, attribuzione che mi stupì [...] dovendo però oggi – a cinquant’anni di distanza –
convenire che egli aveva indovinato, sia per il mio tenor di vita vincolato alla terra sia perché desidero che, alla mia scomparsa, il ricavato del mio
lavoro venga devoluto al servizio dell’arte». Così scriveva nel 1969 l’artista Edita Walterowna Broglio dal suo “buen retiro” di San Michele di Moriano,
in Lucchesia, a proposito di Vincenzo Cardarelli conosciuto a Roma al caffè Aragno, dove si radunava l’“intellighenzia” d’inizio Novecento: i pittori de
Chirico, Broglio, Ferrazzi, Francalancia, Trombadori e gli scrittori della rivista “La Ronda” Antonio Baldini, Emilio Cecchi.
Edita Walterowna von Zur-Mühlen – nata a Smiltene, Lettonia (l’antica Livonia) nel 1886 – poteva ben vantare ascendenze russe poiché la sua
formazione aveva avuto come referenti artisti che facevano capo, fra naturalismo, simbolismo e spiritualismo, alla rivista pietroburghese “Mir
Iskusstva” (Il mondo dell’arte): Konstantin Andreevič Somov e Nikolaj Konstantinovič Rerich, fra gli altri. Ma non fa stupore che Edita, appena
diciannovenne, avesse seguito a Königsberg il padre che là si rifugiava per sfuggire alle rivolte contadine che infuriavano nel suo paese.
L’inquietudine la divorava da tempo. Solo un anno prima, nel 1904, lei, discendente da una nobile famiglia di latifondisti baltici, si era schierata con
i primi rivoluzionari russi. Nella città prussiana «fu assidua allieva dell’Accademia», come sottolineava Alberto Savinio nel 1922, quando Edita
partecipò alla Fiorentina Primaverile.