Musei da conoscere. 1
Palazzo Butera a Palermo

UNA REGGIA ANTICA
PER UN'IDEA DI FUTURO

Affacciato sul golfo del capoluogo siciliano, il nobile edificio dopo quarant'anni di abbandono è stato restaurato e riaperto dalla scorsa primavera. Un recupero eccezionale, reso possibile da un visionario ingegnere e da un raffinato e colto mecenate che ha scelto la storica dimora per conservare la sua vasta collezione.

Lauretta Colonnelli

«Non un palazzo, ma una città in forma di palazzo esser pareva». Tale appare al visitatore palazzo Butera a Palermo, riaperto la primavera scorsa dopo un abbandono durato quarant’anni. La definizione fu coniata da Baldassarre Castiglione per un altro edificio smisurato: quel palazzo dei duchi di Urbino, dove il celebre umanista trascorse una decina di anni, agli inizi del Cinquecento. A quel tempo, palazzo Butera non esisteva. Sarebbe nato quasi due secoli più tardi, per un capriccio del duca Girolamo Branciforte, che volle farsi una dimora di svaghi: a tale scopo acquistò una tenuta di case affacciate sul golfo.

Il figlio di Girolamo, Ercole Michele, sposò nel 1718 una Caterina principessa di Butera e affidò il rimodernamento della dimora, che avrebbe preso il nome di palazzo Butera, a un palermitano che era andato a formarsi a Roma nella cerchia di Carlo Rainaldi e Gian Lorenzo Bernini. Si chiamava Giacomo Amato ed era tornato in Sicilia preceduto dalla fama di architetto delle feste, per la sua maestria nell’ideare le macchine spettacolari degli “effimeri”, quegli apparati barocchi eretti in occasione delle ricorrenze religiose e civili. Affiancato da pittori come Antonino Grano, da stuccatori come Giacomo Serpotta, e da uno stuolo di marmorari, ebanisti, argentieri, Amato avrebbe contribuito nei decenni successivi a determinare il volto nuovo di Palermo, orchestrandolo con chiese e palazzi, le cui facciate erano scandite da timpani, finestre, capitelli, decorazioni. Palazzo Butera divenne, dopo il Palazzo reale, il più importante della città.

Il 4 luglio 1735, quando Carlo di Borbone fu incoronato a Palermo re di Sicilia, l’edificio era pronto. I principi di Butera lo “vestirono” a festa e furono i primi ad accogliere il nuovo sovrano. Una ventina di anni dopo, Ercole Michele ottenne il permesso di costruire una terrazza sul tetto della cavallerizza di fronte al mare e adiacente alla passeggiata delle Cattive. “Captivae” (prigioniere) erano le vedove recluse per il lutto, che qui potevano camminare guardando il mare, ma separate dalla famosa passeggiata sulla riva, dove i nobili sfilavano in carrozza e si davano a ogni sorta di corteggiamenti.

Ma per vedere palazzo Butera trasformato in un fabbricato grande come una città, bisognò aspettare l’incendio del 1759, che lo devastò quasi del tutto. Il principe reagì con una dichiarazione di potenza. Acquistò la residenza dei Moncada, principi di Paternò e conti di Caltanissetta, e l’accorpò al suo palazzo, facendogli assumere le dimensioni e l’aspetto che conserva ancora oggi: oltre novemila metri quadrati di superficie, dal pianoterra al sottotetto, con magazzini e cucine, due cortili grandi come piazze, uno scalone monumentale in marmo rosso di Ogliastro, una trentina di saloni affrescati da Gioacchino Martorana e Gaspare Fumagalli.