Dopo una carriera artistica altalenante come le montagne russe, Max Beckmann (1884-1950) raccoglie consensi
importanti fra i collezionisti, nonostante la sua arte non sia astratta – arte che oggi va per la maggiore – ma figurativa, carica di pathos e dai toni
spesso cupi. Cruciale fu per lui l’esperienza sul fronte della prima guerra mondiale che aveva raggiunto con entusiasmo, ma dove l’orrore provato azzerò
i suoi punti di riferimento ideali.
Nel dopoguerra trasferì nelle sue opere questo senso di smarrimento e disillusione, ampiamente condiviso nella Germania della Repubblica di
Weimar, che gli tributò onori e incarichi. È di quegli anni, e per la precisione del 1924, Natura morta con grammofono e iris, una denuncia
delle distorsioni del mondo presentata con metafore facilmente comprensibili e di forte impatto e con uno stile dal sapore cézanniano e cubista.
Beckmann riprese dall’arte antica una serie di elementi che simboleggiavano la caducità del presente (i fiori, e in specie gli iris, gli strumenti
musicali, il teschio dell’animale), a cui unì altri elementi, a lui più contemporanei, relativi al difficile rapporto con la realtà (come lo specchio o
la maschera di Arlecchino); riferì il tutto in modo inequivocabile al suo presente scrivendo al centro dell’opera «(An)denk(en) (Frank)furt» (Ricordo di
Francoforte), città dove allora insegnava e viveva. L’opera venne aggiudicata una volta nel 2007 (11 giugno) da Christie’s di New York per circa 5,5
milioni di euro e una seconda nel 2015 (24 giugno) da Sotheby’s di Londra per circa 6 milioni di euro. La rivalutazione, non eccezionale, c’è stata, a
dimostrazione di un apprezzamento abbastanza generalizzato fra i collezionisti per le opere dell’artista degli anni Venti.
Buona, anzi talvolta migliore, fortuna hanno le tele degli anni immediatamente precedenti al trasferimento di Beckmann ad Amsterdam e di quelli
che lì trascorse, dal 1938 alla fine della guerra. Fu un periodo difficile per lui, poiché i nazisti (il 10 maggio 1940 le forze armate tedesche
invasero l’Olanda che in pochi giorni passò sotto il controllo della Germania) lo consideravano un artista degenerato, lo misero ai margini del mondo
artistico del Reich, staccarono le sue opere dalle pareti dei musei, lo licenziarono dai suoi incarichi. In quei tristi anni ebbe la forza di produrre
Inferno degli uccelli, in cui in un ambiente claustrofobico salta all’occhio la disperazione dell’uomo al centro della tela. La sua vita –
simboleggiata da una candela destinata ad affievolirsi, come nel periodo d’oro dell’arte nordica – pare sul punto di spegnersi, legato com’è a una panca
da tortura e colpito da una massa di creature violente e indistinte come le SS. Tutto ciò in mezzo ad altri simboli e figure, che creano una sensazione
da quadro di Bosch e che erano facilmente leggibili dal pubblico del tempo, a partire dagli uccelli che ricordavano le aquile stilizzate di prussiana
memoria, uno stemma che i nazisti usavano in qualunque contesto. Proposto da Christie’s di Londra il 27 giugno 2017, Inferno degli uccelli, una
sorta di Guernica di Beckmann per il tema di denuncia nei confronti della guerra e del nazismo, è stato scambiato per 40 milioni di euro,
risultando di gran lunga l’opera più cara dell’artista in asta.
Sempre degli anni difficili seguiti all’ascesa dei nazisti è uno dei suoi numerosi e celebri autoritratti,
Autoritratto con una palla di vetro datato 1936. Mentre Hitler dominava ovunque, Beckmann pare predire per sé e per il mondo intero un futuro
davvero complicato, tanto da dipingere di nero la zona attorno ai suoi occhi e da vedere nel vetro – e qui di nuovo il rimando è agli specchi dell’arte
nordica – un mondo distorto e l’arte sfilacciata e in pericolo. Un quadro di grande qualità, che Sotheby’s di New York aggiudicò il 3 maggio 2005 per
13,5 milioni di euro e che oggi può essere ammirato al Kunstmuseum Liechtenstein-Hilti Art Foundation (Vaduz).
Con la caduta del nazismo, Beckmann poté di nuovo uscire allo scoperto e godersi altri anni di popolarità e riconoscimenti, raccolti negli Stati
Uniti dove aveva finito per trasferirsi. Non per questo la sua arte perse di mordente. In Nudo sdraiato dipinto decisamente di scorcio del 1948
ritroviamo i tipici elementi di Beckmann usati in modo niente affatto ripetitivo. Non mancano i riferimenti all’arte antica nella posizione della donna
che pare una Venere di altri tempi, alla sua difficile condizione indicata dalla innaturale postura assunta e dall’atteggiamento quasi da prostituta,
oltreché alla sua difficoltà di vedere la realtà, allusa dall’area degli occhi dipinta con i toni scuri come in
Autoritratto con una palla di vetro. Sotheby’s è stata capace di vendere Nudo sdraiato dipinto decisamente di scorcio per 2,6 milioni
di euro, cifra significativa per Beckmann e che dimostra come le sue opere di qualità, piuttosto rare sul mercato, tendono a essere scambiate per valori
milionari.
In tendenza
Il suo inferno
lo ripaga
Daniele Liberanome