XX secolo. 1
Paolo Gioli

L’URLO SCHIZOIDE
ALLA CORTE DEL RE

Una delle cover più iconiche della storia del rock è la prova tangibile che un album musicale, per quanto eccezionale, si giudica anche dalla copertina. La storia della cover art di In the court of the crimson king dei Crimson King: un urlo del XX secolo.

Damiano Fantuz

La storia della musica è piena di brani e artisti iconici che hanno segnato epoche. Tuttavia è solo dal secolo scorso, grazie all’introduzione dei supporti fisici di riproduzione, che la musica può assicurarsi un legame stretto e immediato con una determinata immagine, quella stampata sulla copertina di un disco. Ci riesce infatti strano, forse addirittura impossibile, pensare a un determinato album che ha fatto la storia senza pensare alla sua cover art: cosa sarebbe di Abbey Road dei Beatles senza la copertina con il celebre attraversamento stradale?

Un genere che ha sempre dedicato particolare cura anche all’aspetto grafico è stato il progressive rock. Nato come variante “colta” del rock, il progressive fa spesso impiego di musicisti estremamente preparati, in grado di cogliere influenze da molteplici generi come il blues o la musica classica, sviluppando trame sofisticate e complesse, distaccandosi dalla forma-canzone più immediata, semplice e spiccatamente commerciale. Anche la copertina diventava in questo senso parte dell’album stesso, dandogli un’immagine tangibile e contribuendo a portare l’ascoltatore “dentro” la musica.

Gli inglesi King Crimson sono una delle band più rappresentative di questa nuova corrente sul finire degli anni Sessanta. Guidata dal chitarrista Robert Fripp, la band composta allora da Greg Lake, Ian McDonald e Michael Giles, con in più Peter Sinfield a occuparsi dei testi, nel 1969 registra il suo primo leggendario album, In the Court of the Crimson King. Un album di soli cinque brani ma tutti di durata superiore ai sei minuti, caratterizzati da una grande fantasia compositiva, che andava a inglobare rock psichedelico, jazz, musica classica e folk medievale. Il suono è etereo e raffinato, le canzoni sono dense di pathos e di ampi momenti di sperimentazione sonora. I testi di Sinfield contribuiscono in modo determinante alla riuscita dell’album, riuscendo a creare immagini vivide e tangibili ma anche di denuncia sociale.