Studi e riscoperte. 1
Federico Faruffini

RIEMERGE DALL’OBLIO
UN TORMENTATO RIVOLUZIONARIO

«Era un raggio di luce elettrica in una sala illuminata dall'olio»:  così l'amico Carlo Alberto Pisani Dossi scriveva di Faruffini. L'artista sta tornando all'attenzione di critica e pubblico grazie a una recente mostra e ad alcuni ritrovamenti che mettono in risalto gli aspetti innovativi della sua pittura.

Marta Santacatterina

Un animo inquieto e un artista che anticipò la Scapigliatura. È con queste poche parole che potremmo definire Federico Faruffini, pittore ingiustamente “dimenticato” e che solo ultimamente, anche grazie alla mostra allestita la scorsa primavera alla Villa Borromeo d’Adda di Arcore (Monza e Brianza) e curata da Simona Bartolena, ha riacceso l’attenzione della critica. Eppure, Faruffini vinse la medaglia d’oro al Salon de Paris del 1866 con l’opera Borgia e Machiavelli, per guadagnarsi l’anno successivo il terzo premio all’Esposizione universale: non un artista marginale, quindi, ma la scarsa stima di cui godette in patria, dove ancora gli ambienti accademici vedevano in Francesco Hayez e nella sua “fronda” la massima espressione del tempo, contribuì a oscurarne a lungo la notorietà.

L’interesse odierno per Faruffini non si limita tuttavia al contesto lombardo e ne è prova la notizia di qualche mese fa dell’emozionante scoperta, avvenuta grazie a Benedetto Gugliotta, di un suo disegno schizzato su un albo dei visitatori della tomba di Dante a Ravenna. Del resto, l’artista amava il sommo poeta e aveva già realizzato alcune acqueforti per un’edizione della Commedia: invece di lasciare un semplice messaggio testuale, dopo la visita al sepolcro, il 27 ottobre del 1863, pensò bene di riempire una pagina con un raffinato omaggio artistico che raffigura un monumento di fantasia dedicato allo stesso Dante Alighieri, su cui si staglia il verso dantesco «Libertà vo [sic] cercando». E lo schizzo, come ogni ritrovamento, contribuisce a ricomporre il corpus del pittore.