RITRATTI “DAL NATURALE”
PER LA NOBILTÀ OROBICA‌

La nutrita serie di ritratti eseguiti a Bergamo nel sesto e settimo decennio del Cinquecento, di ritorno da Trento, documenta in modo emblematico il gradimento e il successo riscontrati dall’artista presso le più importanti famiglie dell’aristocrazia bergamasca Albani, Brembati, Grumelli, Secco Suardo, Maffeis, Terzi, molte delle quali di orientamento filospagnolo e filoimperiale.

In più di un caso si tratta delle stesse casate per cui, solo trent’anni prima, aveva lavorato Lorenzo Lotto. Dopo la parentesi trentina, i dipinti di questa fase mostrano un riavvicinamento alla coeva ritrattistica italiana, a Tiziano certamente ma anche al maestro Moretto (Ritratto virile a figura intera, 1526), come documenta il Ritratto di gentiluomo (Michel de l’Hospital, 1554) della Pinacoteca ambrosiana.


Moroni mette a punto una formula compositiva destinata a restare immutata a lungo, con il personaggio ritratto a grandezza naturale, in piedi o seduto, su uno sfondo architettonico neutro e disadorno, utile a convogliare l’attenzione dell’osservatore sull’effigiato. Frequenti sono le iscrizioni, talora ingegnosamente associate a gesti, pose oppure oggetti, integrate in complesse (talvolta indecifrabili) composizioni sul modello dell’impresa o del rebus, per altrettante riflessioni sul tema del tempo, del coraggio, dell’amore, dell’onore. L’impostazione delle figure è perlopiù di tre quarti, per una maggiore presa sullo spazio, mentre lo sguardo in tralice, come per una repentina rotazione, aggancia quello dell’osservatore reclamandone l’attenzione. Comune a tutti è l’acuta introspezione psicologica, la penetrante attenzione al modello, cui il pittore si accosta con sguardo umanamente partecipe e un’attenzione sincera alle qualità morali oltre che fisiche.


Moretto, Ritratto di gentiluomo (1526); Londra, National Gallery.