Il pittore, autoisolatosi nella natìa Albino e ormai lontano dai potenti circoli aristocratici e letterari di Bergamo, dipinge perlopiù personaggi della società locale. Nasce così una tipologia d’immagine più domestica e diretta, che vede l’effigiato dominare spazi anonimi fatti di fondi grigi e spogli, in cui i modelli seduti su una savonarola e illuminati da luce radente anticipano gli ambienti disadorni del Caravaggio.
I simboli di questa stagione sono alcuni dei massimi risultati della ritrattistica moderna: Il sarto ribalta secoli di gerarchie e schemi
sociali secondo cui il ritratto doveva essere un onore riservato a regnanti, nobili, ecclesiastici di alto rango. Il suo sguardo penetrante e la verità
con cui è concepito lo rendono l’opera manifesto del pittore.
L’anonimo effigiato (un sarto o, più probabilmente, un tagliapanni) colpisce per l’orgoglio con cui mostra il proprio lavoro borghese, offrendo il
risultato allo spettatore. Il protagonista è bloccato con una pittura fluida e magra prima di tagliare con un paio di forbicioni appena slacciati dalla
cintura su cui è apposto il gancio reggi cesoia una stoffa su cui ha fissato le linee guida con il gessetto. Si affianca a questa immagine, per ragioni
stilistiche, il Gentiluomo con una lettera, più noto come L’avvocato; altezzoso, sfrontato, dagli occhi superbi, il protagonista deve il
soprannome a un’errata interpretazione delle parole che si intravedono nella lettera stretta nella mano destra («Mag.o», interpretato come “magnifico” o
“magistrato”). La figura è fissata con un taglio “fotografico” moderno che ne accentua l’imponenza espressiva, quasi minacciosa.