ASPETTI DELLA
FORTUNA CRITICA

«QUEL D’UN SARTOR, SÌ BELO, E SÌ BEN FATO»‌

A

ssente nelle Vite di Giorgio Vasari, Moroni ha goduto di una cospicua fortuna critica solo a partire dal Seicento, con gli elogi veneziani di Carlo Ridolfi (Le maraviglie dell’arte, 1648) e Marco Boschini (La carta del navegar pitoresco, 1660). A quest’ultimo dobbiamo i vivaci versi dialettali che immortalano Il sarto, al tempo a Venezia nella collezione Grimani: «Gh’è de i retrati: ma in particular / Quel d’un Sartor, sì belo, e sì ben fato, / Che ’l parla più de qualse sia Avocato; / L’ha in man la forfe, e vu el vedè a tagiar». Al 1793 risale invece la prima voce monografica nelle Vite del conte Francesco Maria Tassi, testo di riferimento della storiografia bergamasca. Collezionati dagli amatori d’arte orobici, i ritratti di Moroni hanno talvolta generato confusioni attributive da parte della critica, propensa a considerarli opere di Tiziano: un esempio è il cosiddetto Maestro di scuola di Tiziano, anticamente in collezione Borghese a Roma con attribuzione al Vecellio. Schizzato sotto questo nome nei taccuini di Van Dyck e Reynolds, è stato riconosciuto come Moroni dal conte Giacomo Carcome contemporanei, per verità pittorica e l’alta introspezione psicologica. È in particolare nella Londra vittoriana che si realizza questo processo, con l’approdo alla National Gallery nel 1862 del Sarto, l’opera più famosa del pittore bergamasco. Lady Elizabeth Rigby Eastlake (moglie del direttore del museo, sir Charles Lock Eastlake) avrà buon gioco nel dire: «This will be a popular picture». Il sarto sarà la prima delle undici tele del pittore a giungere nel museo inglese, aprendo la strada a quella che ancora oggi è la maggior collezione moroniana fuori Bergamo. In questo contesto la fama del dipinto oltrepassò il mondo dell’arte, diventando addirittura un emblema pubblicitario per i giornali e un’insegna per le botteghe sartoriali.