IL PERIODO VENEZIANO‌

Veniamo dunque a dare conto di un evento fondamentale nella carriera del nostro artista, che dopo la stagione iniziale bresciana, e il misterioso soggiorno a Firenze, dal 1520 circa fino alla morte si impianta a Venezia, con una sorte che si potrebbe definire a chiasmo rispetto a quella del numero uno di tutta quella situazione, Lorenzo Lotto.

Quest’ultimo, pur veneziano di nascita, viene respinto dalla città natale, e non più accettato, anche quando tenta di rientrarvi negli anni Venti, confidando nel prestigio ottenuto attraverso le eccellenti prestazioni bergamasche. Ormai nella Serenissima si è troppo affermato il potere di Tiziano, e allora l’antagonista si vede costretto a spostare il suo eterno vagabondaggio, non più verso Nord, ma verso Sud, trovando estrema accoglienza nelle Marche. Invece, e sta proprio in ciò l’inversione delle rispettive sorti, il “provinciale” Savoldo viene accettato a Venezia, forse perché rocede in modi più cauti, e sembra anche in parte accettare la lezione maggiore dell’asse Giorgione Tiziano. Egli insomma non appare come una presenza inquietante, preoccupante, anche per i suoi modi personali di comportamento che venivano detti molto corretti e gentili, sempre per quel sospetto quasi di dilettantismo che lo ha sempre accompagnato, come di chi non affrontasse l’arte troppo “sul serio”. Vale la pena in merito di riportare ancora alcune parole del giudizio vasariano, come sempre sospeso tra l’approvazione e la riserva, quest’ultima derivante dalla constatazione che «non fece cose grandi», per cui «non si può dire altro di lui, se non che fu capriccioso e sofistico», anche se poi si conclude in modo positivo: «Quello che fece merita di essere molto commendato». Ma un simile parere tutto sommato tiepido e controverso ci permette anche di intendere perché l’ambiente veneziano, e tizianesco in particolare, non fosse indotto a scorgere in lui un temibile concorrente. Ben diverse invece, per imponenza e risolutezza, erano le soluzioni che potevano venire da Lotto, così da determinarne l’ostracismo. Forse l’“opus magnum” di questo atteggiamento di Savoldo, non certo di sfida verso il primato tizianesco ma di cauto fiancheggiamento, trovò la migliore riprova nella Trasfigurazione, di cui possediamo forse una copia dovuta al Lomazzo, Milano, Pinacoteca ambrosiana, che ovviamente tenta di echeggiare gli spunti dell’Assunta tizianesca, mostrando pure qualche conoscenza del dipinto omonimo dovuto a Raffaello. Quale che sia il modello cui si voglia fare riferimento, si tratta di una versione più tenue, meno convinta e sicura.