Outsiders

UNA QUESTIONE
DI SCELTE

Alfredo Accatino

Un viaggio alternativo nell’arte del Novecento, alla scoperta di grandi artisti, opere e storie spesso dimenticate: Paula Modersohn-Becker

Questo racconto è semplice e terribile, perché quando il destino si inventa sceneggiatore riesce a scrivere finali odiosi, di quelli che al cinema ti fanno uscire tristi e arrabbiati.

È la storia di un rapporto di coppia, di compromessi, della difficoltà di riuscire a gestire affetti e passioni che appaiono inconciliabili. È una storia di “scelte” che vede protagonista una ragazza tedesca dal talento straordinario, capace di raggiungere in una manciata di anni una densità di segno e di materia pari solo a Gauguin. La prima donna che ha il coraggio, nel 1906, di realizzare il proprio autoritratto nudo, senza volersi mostrare bella, incinta quando non è incinta, affrontando quello che sarà uno dei temi portanti della sua esistenza. Prima di lei solo Artemisia Gentileschi aveva avuto l’audacia di mostrare il proprio corpo.

Da quando è adolescente, la famiglia le chiede di sposarsi e fare figli. Frequenta corsi di buone maniere e di cucina e quando il padre va in pensione la richiama all’ordine, convinto che con quella “follia dell’arte” non farà nulla di buono. Lei, invece, vuole solo dipingere, non vuole avere figli. Anzi, forse sì, ma dopo i trent’anni, in un tempo indefinito. Ribalta di fatto le tre K dell’educazione femminile guglielmina “Kinder”, “Küche”, “Kirche” (bambini, cucina, chiesa) in “Kunst” (arte), poi “Kinder” e “Küche”. Seguiamo questo suo percorso nelle tante lettere che scrive all’amico Rainer Maria Rilke (lui si diverte a chiamarla «la pittrice bionda»), suo coetaneo, uno dei più importanti poeti del Novecento.

Nata nel 1876, dopo aver studiato in Germania, va a Parigi dove passa dal figurativo al fauve. Rimane folgorata dalla leggerezza di Cézanne, giungerà poi alle soglie di quel movimento, l’espressionismo, di cui sarà una pioniera, ma i cui sviluppi non riuscirà mai a vedere. Prende la materia, e non la usa solo per dipingere, ma “la plasma”. E se serve, deforma le immagini, il paesaggio, compreso il viso, quello delle sue amiche e dei suoi affetti.

Nell’aprile del 1889 si tiene a Parigi l’Esposizione universale per celebrare il centenario della Rivoluzione francese. In quella occasione rivede il pittore Otto Modersohn, fondatore con Fritz Mackensen di una colonia di artisti a Worpswede vicino a Brema, che lei aveva frequentato ventenne. La moglie di Modersohn, già malata, muore proprio in quei giorni, tanto che lui è costretto a rientrare precipitosamente a casa. Paula e Otto rimangono però in contatto, si scrivono, nasce una amicizia, la loro conoscenza diventa nel tempo una relazione, che sfocia in amore.

Per la gioia della famiglia che la vede “sistemata”, Paula si sposa a venticinque anni e si trova ad accudire la piccola Elizabeth, di tre anni, figlia della prima moglie di Modersohn. Ci prova, ma resiste solo ventiquattro mesi. È affettuosa con la bambina, ma sente che la vita le scappa di mano.

Si è anche imposta un orario di lavoro: alle nove, quando arriva la governante, dipinge. Pranza con il marito, lavora sino alle sette, cena.