«Il privilegio e la sofferenza hanno molto in comune. Entrambi si manifestano sotto forma di bolle: circondano
completamente le persone e ne distorcono lo sguardo. Ma la bolla del privilegio è possibile penetrarla e perfino farla scoppiare: mentre la bolla della
sofferenza è impermeabile»(1).
Negli svariati campi che spaziano dall’arte alla letteratura, dalla scienza alla filosofia, grande fascino ha sempre suscitato la contemplazione delle
bolle di sapone, forme leggere, talora semplici superfici matematiche(2) ma ornate di colori brillanti, quasi a ribadire quel certo legame
tra arte e scienza e tra arte e letteratura, se, come dice Mark Twain, esse sono la cosa più bella e la più elegante in natura, e se Italo Calvino ne
parla come di grappoli che si allungano in ghirlande iridate: una bellezza effimera, connessa direttamente alla loro esilità, alla loro breve durata:
ora ci sono e poi più.
«Homo bulla est»: una metafora antica collegata all’idea che una persona possa apparire molto solida, eppure la sua esistenza essere fragile come
una bolla, inconsistente, bellissima ma ingannevole e vana, come la vita. Il simbolismo di questa semplice sentenza risale a un’espressione proverbiale
presente nel I secolo a.C. nel De re rustica di Varrone «quod, ut dicitur, si est homo bulla, eo magis senex» (pertanto, come si dice, l’uomo è
una bolla, tanto più se è vecchio). L’immagine doveva essere molto nota, legata alle riflessioni filosofiche sull’esistenza umana, la vita e la morte,
ma non è chiaro a che tipo di bolle si riferisse visto che non ne compaiono in nessuna pittura o mosaico di quel periodo. Il motto fu ripreso in seguito
da Erasmo da Rotterdam ed ebbe molta fortuna nella prima metà del XVI secolo con la ricca riproduzione grafica di putti con teschio che soffiano bolle
di sapone.