Appena fuori dal nucleo più densamente abitato di Rimini, subito alle spalle del teatro Galli e della medievale
piazza Cavour, si erge maestoso castel Sismondo, voluto da Sigismondo Pandolfo Malatesta che lo fece erigere dal 1437. Una fortificazione austera,
all’apparenza inaccessibile, che ora racchiude un cuore poetico e capace di incantare anche i visitatori più riluttanti a lasciarsi trasportare in un
mondo onirico e favoloso: il mondo di Federico Fellini.
L’operazione culturale che ha preso il nome di Fellini Museum è stata anche occasione per attuare un progetto di rigenerazione urbana che negli ultimi
anni sta cambiando il volto della città romagnola, valorizzando magistralmente un centro storico di grande valore: basti pensare alla presenza del
Tempio malatestiano, progettato da Leon Battista Alberti e Matteo de’ Pasti e che conserva opere di Giotto e Piero della Francesca. Non poteva allora
mancare un luogo capace di celebrare l’illustre regista, nato proprio a Rimini nel 1920: il museo, inaugurato lo scorso agosto, è frutto di una sinergia
tra il Comune e un team di professionisti esperti in varie discipline, nonché di Studio Azzurro, a cui è stata affidata la realizzazione delle
installazioni multimediali. La cifra del gruppo di ricerca artistica milanese appare subito evidente: le tecnologie incontrano la sensibilità umana,
reagiscono al soffio dei visitatori o al loro passaggio che attiva le proiezioni, o ancora chiedono di compiere delle azioni. Così il museo non offre
solo un percorso attraverso una filmografia che ha segnato profondamente il mondo cinematografico italiano e internazionale, ma un’esperienza ben più
profonda, a forte tasso di interattività, che consente di avvicinarsi al celebre regista da diverse prospettive e talvolta tramite lo sguardo di chi
orbitava attorno a quel grande uomo dalla voce sottile.
Quella voce che è peraltro un “fil rouge” teso tra tutte le sale, anzi uno Tsunami Fellini, come è stata intitolata l’installazione sonora
mediante la quale, a intervalli, le parole del protagonista irrompono negli ambienti del castello.
I numeri del museo sono impressionanti: milleseicentocinquanta metri quadrati di spazi espositivi, trentatré proiettori, sessanta tra monitor e
schermi, cinque ore di contenuti audiovisivi. Sedici le sale, allestite mantenendo intatta la struttura architettonica quattrocentesca e con un criterio
di assoluta reversibilità.
All’ingresso i visitatori vengono accolti da “filze” sospese di fogli che illustrano gli esordi di Federico Fellini come disegnatore di vignette e
scrittore satirico, poi il percorso attraversa una carrellata di ritratti del grande amore di Fellini, Giulietta Masina, per mostrare quindi il bel
Marcello Mastroianni e approdare al mare di Rimini: sul “pontile” si incontrano delle botole e, aprendole, si possono osservare video amatoriali sulla
città e le sue spiagge dei tempi andati, mentre al di sopra di morbide onde in tessuto mosse dal vento scorrono le scene felliniane in cui compare il
mare. E l’installazione Il nonno nella nebbia rievoca le atmosfere ovattate di Amarcord.
Una gigante Anita Ekberg sdraiata accompagna gli spettatori nella Dolce vita, tra proiezioni “en ralenti” e una postazione di approfondimento in cui, grazie a un montaggio di video documentari dell’epoca, si scopre la reazione della società italiana all’uscita di quella pellicola che ha profondamente scosso gli animi, poiché ha mostrato la fragilità degli anni del boom economico e i lati più segreti e contraddittori della coscienza degli italiani di allora, scatenando la censura, le ire della Chiesa e il biasimo dell’opinione pubblica.