Werk ohne Autor (Opera senza autore), oltre a essere un film sociopolitico sulla Germania nazista e
sull’ombra proiettata dal nazismo sulla ex Rdt, è un particolare “biopic” sotto mentite spoglie sulla vita dell’artista tedesco Gerhard Richter (e su
altri, come si vedrà). Ma per il regista Florian Henckel von Donnersmarck (Le vite degli altri, Oscar 2007) è qualcosa d’altro e di più: «La
storia del pittore di invenzione Kurt Barnert è un po’ la biografia spirituale della Germania, arricchita da altri artisti. La parte biografica è solo
il punto di partenza per una storia di finzione»(*).
È proprio quel che non dev’essere piaciuto a Richter se si è rifiutato di vederlo. Eppure Donnersmarck non ha tutti i torti, almeno nelle
intenzioni; peccato che un eccesso di ambizioni e compiacimenti freni i risultati. Senza averne la forza visionaria che richiederebbe, egli propone
un’idea dell’arte catartica, autorivelatoria, un cammino verso la verità pressoché sciamanico. E allora per questo ci voleva Joseph Beuys. Ma andiamo
con ordine.
Il personaggio ispirato a Beuys, nel film, riveste un ruolo sciamanico nell’evoluzione della personalità artistica Del protagonista