Capolavori della linea, del ritmo, della prospettiva allo stesso tempo realistica e psichedelica, del segno
trascendente nella ritualità, della proiezione vitalistica, del mistero che si fa opera nel gesto, le pitture parietali della grotta Chauvet (dal nome
di chi le scoprì nel 1992, Jean-Marie Chauvet, realizzate circa 36.000 anni fa nella valle dell’Ardèche, Francia meridionale) incorporano i volumi e le
irregolarità dell’ambiente, come in una messa in scena teatrale, attraverso varie tecniche: incisione, stencil, tracce digitali, pigmenti rossi e neri,
con l’utilizzo di sfumature per dare corpo tridimensionale alle figure. Il movimento è reso con un realismo che testimonia al contempo una osservazione
acuta del mondo animale – anche se la maggior parte delle riproduzioni è parziale (i dettagli anatomici abbondano per quanto riguarda le teste, mentre
il disegno degli arti è spesso suggerito o approssimativo) – e una proiezione verso un salto della coscienza. Gli animali sono raffigurati in scene
realistiche, in un modo che era fino allora sconosciuto all’arte del primo Paleolitico. Gli artisti e le artiste di Chauvet realizzano le immagini
inserendole in rapporti prospettici; i contorni sono tracciati con sicurezza; l’uso del chiaroscuro, sconosciuto precedentemente, materializza i volumi
del corpo e i dettagli. Ma ci sono anche numerose forme astratte, che agiscono in contrappunto con le figure animali.
I Cro-Magnon (la forma di Homo sapiens più diffusa in Europa) iniziano a realizzare proiezioni della realtà e dell’immaginazione in luoghi permanenti, sulle pareti delle caverne, attraverso cicli segnici e pitture. Dalla scoperta di Lascaux (nel 1940) in poi sono state trovate dozzine di caverne nell’Europa sud-occidentale, con dipinti, incisioni, bassorilievi e sculture.