IIl gruppo si riunì però sotto lo stimolo di Xavier Bueno, pittore spagnolo naturalizzato italiano; la sua pittura era legata a un realismo di natura sociopolitica, figlio della guerra civile spagnola; Xavier percepiva le avanguardie pittoriche come una colossale degenerazione, come una negazione dell’essere umano e dell’arte autentica; per lui tutta la pittura non realista era solo «post-impressionismo decadente». Egli voleva sfidare la critica di allora e cercò degli alleati. Prima riuscì a convincere il fratello, Antonio, e poi convinse Annigoni e Sciltian. Nel 1947 a Milano il gruppo che si autodefinì «Pittori moderni della Realtà» espose nella Galleria L’Illustrazione italiana, stampando il proprio Manifesto in un opuscolo che era una freccia lanciata contro il cuore di ogni avanguardia pittorica; ecco alcuni passaggi: «Noi, “Pittori moderni della Realtà”, siamo riuniti in un gruppo fraterno per mostrare al pubblico le nostre opere […]. In contrapposto all’École de Paris, nata in Francia ma rappresentante una tendenza universale di decadenza, la nostra arte nata in Italia rappresenta un avvenimento di speranza e di salvezza per l’arte […]. Non ci interessa né ci commuove una pittura cosiddetta “astratta” e “pura” che, figlia di una società in sfacelo, si è svuotata di qualsiasi contenuto umano»(23).
Parole durissime, un vero schiaffo contro un’intera epoca; ma nella prospettiva storica questo manifesto per noi rappresenta il disperato tentativo di
un Don Chisciotte di sconfiggere i mulini a vento… Certo, fece scalpore, e portò le reazioni della critica dominante. Alla fine il gruppo durò poco,
tanto che si sciolse, per tensioni interne, nel 1949. Il risultato era prevedibile: la critica ufficiale si irrigidì ancora di più e ogni pittore
“realista” ne uscì ancora più isolato di prima; in particolare Antonio Bueno ebbe dei fortissimi risentimenti verso il fratello Xavier, accusandolo
di averlo condotto verso una crociata autolesionista. Ma Annigoni proseguì dritto per la sua strada. Il suo lavoro era sempre sacro e nessuna polemica
culturale riuscì mai a distrarlo. Ormai era quasi abituato all’esilio e più l’isolamento cresceva più la sua ricerca figurativa diventava profonda.