Pittore o marinaio?

Pietro Annigoni nacque a Milano il 7 giugno del 1910. Vivrà nella realtà milanese fino al 1925, quando si trasferirà a Firenze per un’incombenza lavorativa ricevuta dal padre, ingegnere incaricato di sistemare la rete telefonica della città; nel 1928 la famiglia è pronta a rientrare a Milano, ma il giovane Pietro fa la sua scelta: dedicarsi alla pittura, restando a Firenze.

Come furono i primi anni milanesi? Il padre, Ricciardo, era un noto professionista, la cui famiglia aveva antiche radici in Emilia, mentre la madre, Therese, era una californiana di San Francisco, che aveva origini liguri. Il legame con la famiglia è sempre stato forte in Annigoni, infatti scriverà nel 1947: «Mia madre sta morendo. Occhi vividi, luccicanti, terribilmente angosciosi: occhi che chiedono disperatamente aiuto e che al tempo stesso annientano ogni richiesta nel vuoto che contemplano […]. Sorrideva oggi, come molti cadaveri sorridono, dolcemente. Ma quel sorriso oggi era ben mio, aderiva al mio cuore […]. È la “piazzetta di Torno” che si riaffaccia alla memoria […]. Era ombreggiata da tre o quattro piante ed era stata scelta da mio padre come meta di certe passeggiate mattutine, durante la villeggiatura estiva. Diceva che là c’era sempre un alito di vento piacevole. Mi ci accompagnava tenendomi per mano, e intanto mi raccontava del nonno garibaldino e della zia vestita da uomo che voleva andare a combattere. Ricordo occhi di sole sul terreno ombreggiato, ricordo il calore della mano di mio padre, ricordo certi semi che parevano forniti di un’aluccia, e che scendevano dalle piante succhiellando l’aria, e ricordo che là, per la prima volta (avevo sei anni), mi accorsi di essere “io”»(1). Nelle pagine del Diario Annigoni ci ha lasciato un intimo autoritratto interiore, dipinto con parole precise come i suoi segni pittorici, interiorità che si intreccia col mondo; il ricordo dell’infanzia è preciso in lui ed estremamente “visivo”; in quelle villeggiature Pietro inizia a studiare la natura, a indagarla col disegno, con una pazienza davvero rara in un ragazzo. Ma fu il padre a sostenerlo: «Avevo sei anni e mi trovavo in villeggiatura sul lago di Como. Era il 1916, agli inizi della prima guerra mondiale. Passeggiavo con mio padre. Commentando uno scarabocchio fatto la sera precedente, mi disse: “Un giorno tu sarai un grande pittore”. Lo disse naturalmente per farmi piacere, come fa ogni babbo con il proprio bambino, ma quella frase mi rimase impressa. Devo aggiungere che mio padre era ingegnere e aveva attitudini al disegno, il suo giudizio fondava su qualcosa; ad ogni modo per quanto ragazzuccio quella frase mi rimase nella memoria»(2).