LE DONNE DEL MITO 

Le due «poesie» ovidiane (23) con Diana e Atteone e Diana e Callisto vanno sempre insieme nella corrispondenza di Tiziano con Filippo II, dall’annuncio del completamento in data 19 giugno 1559 («l’una de Diana al fonte sopragiunta da Atheone, l’altra di Calisto pregna di Giove spogliata al fonte per commandamento di Diana dalle sue ninfe») (24) a quello della spedizione il 22 settembre (con l’importante precisazione «confesso esser tre anni, e più, che li ho cominciati») (25) e ad altre lettere successive in cui il pittore chiede e ottiene, con molto ritardo, di esser rassicurato del gradimento del sovrano.

Vanno insieme nella composizione, per un gioco insistito di rimandi e simmetrie che corrisponde evidentemente a una strettissima unità di contenuti. E sempre insieme sono andate nella loro storia successiva, dalla collezione del duca di Sutherland al lunghissimo deposito nella National Gallery of Scotland a Edimburgo, fino alla recente “comproprietà” tra questa e la National Gallery di Londra che ha scongiurato il pericolo della loro separazione. 

Atteone appare nelle Metamorfosi (III, 138-252) come un professionista dell’attività venatoria, tanto che ora ha battuto monti e selve con grande compagnia di uomini e cani prima di concedere a sé e agli altri la sosta serale: la caccia è stata abbondante («Compagni, grondano di sangue ferino le reti e le armi, e la giornata ha portato gran fortuna»). Ma, forse non ancora pago, Atteone continua tuttavia a « vagare con passi incerti per l’ignota selva», finché “il fato” lo conduce al sacro boschetto e alla limpida fonte dove Diana e le sue ninfe, nude, si stanno bagnando. 


Qui entra Tiziano. Atteone, ancora armato e accompagnato da un cane, lascia cadere l’arco in terra e apre le braccia in un gesto di sorpresa e di paura, perché subito prevede e comprende l’imminente disgrazia, e la vede rappresentata e annunciata nello sguardo minaccioso di Diana e nel teschio di cervo sul rustico pilastro. Tra le ninfe c’è chi protesta, chi si copre, chi si ritrae, chi si nasconde e chi non s’è ancora accorta di nulla; c’è la cagnetta ringhiosa che reagisce all’intrusione nella “privacy”; mentre la dea non sembra aver troppa fretta di coprirsi - nonostante lo zelo della cosiddetta “ancella nera” - perché ha già stabilito che quel mortale, penetrato indebitamente nel suo spazio riservato, non potrà raccontare a nessuno d’aver visto senza veli la dea vergine e le vergini ninfe. Tiziano, a questo punto, si ferma: non rappresenta Diana che trasforma Atteone in cervo spruzzandogli addosso un po’ d’acqua dalla fonte; né il cacciatore imbestiato e sbranato dai suoi cani. Anche se al finale aveva già pensato, visto che lo annuncia insieme alle due «poesie» di Diana, se lo riserverà per tempi futuri, per quando sarà pronto un nuovo linguaggio, finalmente adeguato alla dimensione della tragedia. Per ora il momento fatale è quello della scelta, allorché Atteone, invece di fermarsi a riposare con i compagni, continua a “errare”, che significa vagare ma anche sbagliare. 


Diana e Callisto (1556-1559); Londra, National Gallery, in alternanza con Edimburgo, National Gallery of Scotland.