Come è accaduto a Edvard Munch, una sua fonte di ispirazione da sempre, spesso si sottovaluta la natura politica del suo lavoro per sottolinearne una valenza autobiografica. L’origine di questa sensibilità si trova facilmente nel rapporto tra bianchi e neri nel suo contesto d’origine. Anche se sostiene di non volere proporsi come una pittrice vincolata al tema all’apartheid, Marlene è profondamente antirazzista e questa è una sua caratteristica centrale, che ci permette di entrare nel suo mondo fatto di persone di diversi colori, storie, età posti tutti allo stesso livello. Perché «il razzismo è ancora presente nella storia (tutti i continenti inclusi). I bianchi condividono una colpa collettiva che non sarà dimenticata nel tempo delle nostre vite. Non importa quanto spesso diciamo che ci dispiace»(23).
Fino dai primi anni Ottanta, l’artista ha dedicato alcuni disegni alle persecuzioni razziali in Sudafrica, come The Tenth Floor (1982). In
Drie vroue en ek, un montaggio del 1982, compaiono alcune donne che hanno contribuito a guidare la riscossa dei neri: Winnie Mandela, la
vedova di Patrice Lumumba, Pauline Opango e Betty Shabazz, la vedova di Malcolm X. Dopo il passaggio alla pittura, ha spesso usato i protagonisti dei
suoi quadri come vittime o accusatori. Quando sono ritratte persone concentrate nel desiderio, come la protagonista di Longing (2018), o
individui che urlano un dolore come in Mamma Roma (2012) o Etta James (2012), lo sguardo manca del tutto o ci evita. In questo
senso, Dumas utilizza con uguale frequenza e perizia le categorie che Michael Fried ha definito di “Theatricality” (osservare il pubblico come farebbe
un attore) e “Absorption” (mostrare un atteggiamento assorto che prescinde dal riguardante)(24). In entrambe le situazioni, però, riesce a
chiamare a raccolta lo spettatore non consentendogli la libertà di estraniarsi. In questo coinvolgimento quasi forzato si può riconoscere un richiamo
che ci impone di non voltarci dall’altra parte. Non possiamo evadere dalle sue denunce. Non ci viene proposto alcun distacco critico, cioè nessuno
straniamento di tipo brechtiano; al contrario, l’opera ci chiede di agire come uno «spettatore emancipato»(25), capace di non essere
passivo e di non usare la razionalità per difendersi dall’urto alla nostra sensibilità. Dumas non ha mai adottato posizioni estreme, accostabili a
movimenti di lotta e agli scritti dei loro leader, ma ha sempre parlato dell’alterità con partecipazione simpatetica. La sua consapevolezza rispetto a
cosa significhi l’alterità(26) l’ha avvicinata ad altri artisti(27) che lavorano contro ogni forma di
discriminazione(28). L’utilizzo di prospettive ambigue nei suoi quadri è una sfida verso chi guarda, affinché il personale diventi politico
e viceversa.