In effetti la sua opera forse più iconica, che non rappresenta le sue fattezze ma quelle della figlia da piccola, si intitola The Painter (1994). La bambina ha il pancino azzurro-viola come una sorta di vaso alchemico e ribollente; una mano rossa e una blu, come due armi entrambe attive. A prescindere dai dati biografici - Marlene ha effettivamente creato una serie in collaborazione con la piccola Helena -, l’opera può essere considerata l’autoritratto di un alter ego, volutamente spogliato di tutto ma attento, assorto, teso e pronto alla creatività.
Si intitola Selfportrait già un giovanile inchiostro su carta del 1973, in cui non scorgiamo altro che una grafia meccanica. È stato il suo
primo modo di mostrare come la superficie dell’opera fosse un paesaggio politico, cioè disposto ad accogliere l’incrocio tra soggetto e mondo. Non c’è
il male assoluto, o piuttosto c’è un male diffuso e nascosto; bisogna saperlo individuare. Il male è anche nel suo stesso viso. In
Evil is Banal (1984)(30) ci si mostra con un suo sguardo laterale circondato dall’aureola dorata dei capelli, troppo accesa per
apparirci angelica o comunque spirituale, sottolineata dalla presenza scura della mano sotto il mento. Non sta facendo nulla. Forse la colpa sta già
solamente nell’essere stata una bambina bianca tra i neri(31) o una ragazza a cui è stato consentito decidere della sua vita.
Da allora, il tema di cosa includa il confronto io-l’altro si è ampliato. Il Selfportrait at Noon (2008) è un quadrato leggermente schiacciato dentro al quale si staglia un viso tondo, visto dal basso, sospinto ai lati da due grappoli di
capelli ricci simili a quelli di un clown. Gli occhi sono rimpiccioliti dalle palpebre gonfie, la bocca non sorride, metà del collo è scavata da
pennellate che evocano le pieghe aggiunte dall’età. I colori sono simili a quelli di una fotografia sovraesposta: il viso è pallido, l’azzurro delle
iridi è un cenno, l’abito che circonda il collo è un manto nero che accentua il pallore, il sapore spettrale è sedato solo da tracce di rosa sulle
labbra e in una narice ovale, memore di un Picasso molto amato, collocata quasi nel centro geometrico dello spazio figurativo. Lo specchio non
suggerisce seduzione ma una vitalità inquieta.