GLI ULTIMI VENT’ANNI

Dopo l’armistizio Sickert si trasferì a Envermeu, nei pressi di Dieppe, dove aveva preso una casa assieme alla seconda moglie, Christine Angus, studentessa nei corsi della Rowlandson House School, una delle scuole d’arte fondate da Sickert dopo il ritorno a Londra, ma la donna si ammalò di tubercolosi e nel 1920 morì.

L’autunno della vita di Sickert comincia qui: la perdita della moglie lo colpì molto e il lavoro fu una risorsa preziosa per sfuggire alla depressione che lo stava invadendo. Accanto alla pittura, negli anni Venti Sickert conduse un’intensa attività di critico d’arte, con testi (ora raccolti nell’edizione “più che completa” dei suoi scritti, a cura di A.G. Robins) che definiscono sempre meglio la sua idea di pittura “letteraria”.

La situazione di Sickert nella geografia dell’arte inglese uscita dalla guerra è quella di un isolato, lontano dal postimpressionismo di Bloomsbury, da quel che restava dall’avanguardia vorticista, e poi dalle esperienze astratte manifestatesi in Gran Bretagna nel terzo e quarto decennio del Novecento. Eppure è il momento in cui l’artista ha più successo presso il grande pubblico, che amava specialmente due filoni della sua pittura tarda, i cosiddetti “Echoes” e i dipinti tratti da fotografie. Nella serie degli Echi l’autore riprende immagini tratte da incisioni vittoriane di carattere narrativo e le ripropone secondo le modalità pittoriche tipiche dell’ultimo Sickert, che si rivelano adatte a lavori di traduzione in pittura sia di stampe, sia di fotografie il cui uso, in questi anni, si affianca al lavoro preparatorio condotto in passato con i disegni, anticipando, anche in questo caso, le pratiche di Francis Bacon. Sia gli echi di vecchie incisioni sia i dipinti tratti da fotografie d’attualità ri-mediano un’immagine bella e pronta, limitando le variazioni a qualche ritaglio nell’inquadratura e affidando alla stesura pittorica il margine d’interpretazione personale del soggetto. Alcune delle opere nate in questo modo si rivelano efficaci, come The Plaza Tiller Girls, del 1928, dove la parata di ballerine di fila, la gamma cromatica luminosa e il senso del ritmo danno corpo a un’immagine fresca e vitale.