Grandi mostre. 1
Giorgio Griffa a Parigi

LA RICERCA DEL TRATTO
PRIMARIO

Il centre Pompidou dedica una grande esposizione a Giorgio Griffa, pittore e sperimentatore torinese che ha fatto dell’essenzialità del segno la chiave identitaria del suo lavoro, iniziato negli anni sessanta del secolo scorso nella sua città d’origine.
Nelle sue opere il segno, fiero e indipendente, viene ripetuto in modo sequenziale sulla tela, spesso volutamente non finita. Un segno che assume forme differenti, precise, imprecise, a volte inattese

Riccarda Mandrini

Vi è una cosa riguardo alla quale in molti - collezionisti, galleristi, direttori di musei, curatori e pubblico - sono d’accordo, ed è che il lavoro di Giorgio Griffa (Torino 1936) parla in modo diretto alle persone e con ciascuna riesce a instaurare un rapporto personale, che va oltre i “barrages” culturali e geografici. In questo senso è emblematica la riflessione di alcuni anni fa di una studiosa francese che, trovandosi di fronte alle opere di Griffa esposte alla Biennale di Venezia (2017), da lei riviste dal vero dopo molti anni, le definì «profondamente esistenziali nella loro perfetta essenzialità compositiva e narrativa». 


Griffa artista cominciò a lavorare all’inizio degli anni Sessanta nella sua Torino, nello stesso periodo le prime esperienze in ambito espositivo, a cominciare da quelle allestite nel capoluogo piemontese, le condivise con alcuni suoi coetanei, tra cui Giovanni Anselmo, Jan Fabre e Jannis Kounellis. A quel tempo veniva associato ad alcune tra le più affermate correnti artistiche dell’epoca quali la Pittura analitica e l’Arte povera e si trovò anche a esporre insieme al gruppo BMPT (Buren Mosset Parmentier Toroni). Ben presto però si rese evidente che quella di Griffa era una storia a parte, diversa, il suo era un percorso personale vissuto nella pienezza della concettualità artistica del suo tempo. 


Dalle sue prime mostre, l’artista non ha mai smesso di viaggiare seguendo un itinerario preciso: quello delle esposizioni a lui dedicate nei musei e nelle gallerie d’arte di tutto il mondo. Dal 2012 è entrato a fare parte della galleria newyorchese Casey Kaplan, che subito gli riservò una personale, Fragments 1968-2012 (da ottobre 2012 a marzo 2013), accompagnata da altre quattro rassegne suddivise per decadi dal 1970 a oggi. Dal 2014 Griffa è rappresentato dalla galleria di Roma Lorcan O’Neill, che a lui ha dedicato tre personali. 


Nel 2017 Christine Macel - conservatrice del patrimonio e curatore capo del settore arte contemporanea del Centre Pompidou -, allora curatrice della Biennale di Venezia (Viva Arte Viva), invitò Griffa a essere parte della mostra internazionale, avviando con lui un dialogo che nel tempo non si è interrotto ed è culminato nella prima monografica Giorgio Griffa, al Beaubourg, il Centre Pompidou di Parigi, inaugurata il 2 marzo scorso. Non una celebrazione, certo, un artista riservato come lui non l’avrebbe amata, ma una grande esposizione dedicata al suo lavoro, per la quale Macel ha voluto partire dalle origini andando “à rebours”, a ritroso. La rassegna si apre così con nove tele della serie Segni primari (1969-1970), espressione e punto di partenza della ricerca di Griffa nell’ambito dell’astrazione e il primo step della raccolta Undici cicli di pittura con cui egli introduce alle differenti tematiche del suo percorso. I Segni primari sono caratterizzati da una composizione stilistica minimale, dove troviamo tratti semplici, essenziali, che danno al quadro una forma compiuta. Nelle sue opere, il segno, fiero e indipendente, viene ripetuto in modo sequenziale sulla tela, spesso volutamente non finita. Un segno che assume forme differenti, precise, imprecise, a volte inattese, tutte determinate dalle incertezze della mano che lo disegna, che sia quella dell’artista o di chiunque altro.


Canone aureo 820 (2012), Parigi, Centre Pompidou - Musée National d'Art Moderne, come tutte le altre opere riprodotte in questo articolo.


Campi rosa (1986).