«L’idea di questa mostra», scrivono Richard Armstrong, Karole P. B. Vail e Ortrud Westheider, rispettivamente direttori del Solomon R. Guggenheim Museum di New York, della Peggy Guggenheim Collection di Venezia e del Museum Barberini di Potsdam, «è partita da straordinarie opere d’arte, della Peggy Guggenheim Collection, di Victor Brauner (Il surrealista, 1947), Leonora Carrington (Oink -Essi vedranno i tuoi occhi, 1959), Paul Delvaux (L’aurora, 1937), Max Ernst (La vestizione della sposa, 1940), Leonor Fini (La pastorella delle sfingi, 1941), e Yves Tanguy (Il sole nel suo portagioie, 1937), che dichiarano palesemente il dialogo degli artisti surrealisti con la tradizione dell’occulto».
Nel Primo manifesto del surrealismo (1924), redatto da André Breton, erano indicati alcuni punti essenziali di quella che sarà la poetica di questo gruppo eterogeneo di intellettuali e artisti, quali l’attività dell’uomo «sognatore», la «libertà totale dello spirito», «l’automatismo psichico per giungere al surrealismo e quindi liberare l’inconscio», l’atteggiamento «antirealista assoluto» fino a giungere al limite della «follia»; ma soprattutto, l’indicazione di Freud come teorizzatore del sogno quale momento più importante dell’attività psichica umana.
