Studi e riscoperte
Gaspard Dughet e la campagna romana

nella sua pittura
abita pan

Romano di nascita ma francese di origine, Gaspard Dughet è un importante paesista di età barocca benché trascurato, dopo la morte, rispetto ai suoi maestri, Nicolas Poussin e Claude Lorrain. Basta soffermarsi sugli scorci dell’alto Lazio, da lui immortalati, per apprezzarne la poetica: immediata, suggestiva, capace di cogliere i fremiti della natura nelle sue mutevoli manifestazioni.

Carla Mariani

Gran parte dei pittori di paesaggio operanti a Roma tra Cinque e Seicento provenivano dal Nord Europa, attratti dalla città ma anche affascinati dalla campagna ricca di luoghi legati a una cultura antica, satura di testimonianze ancora presenti e forti. Poi, nella prima metà del Seicento, emergono prepotentemente Claude Lorrain, Nicolas Poussin e Gaspard Dughet, celeberrimi i primi due, sottovalutato dopo la morte il terzo: meritevole, invece, di una grande riscoperta, perché, più giovane dei suoi maestri, vive la pittura in maniera più istintuale. 


Non lirico come Lorrain né intellettuale come Poussin, Dughet è interprete di una nuova libertà e naturalezza che lo guidano alla scoperta di una natura da lui avvertita come reale e magica insieme. Nasce a Roma il 7 giugno 1615 da Jacques Dughet, cuoco parigino, e da Dorotea Paruffi o Scaruffo di Paliano. È il quarto di sette figli e manifesta presto una sicura attitudine al disegno. La sorte lo aiuta mettendolo sulla strada di Nicolas Poussin che sposa una sua sorella maggiore. All’età di quindici anni Gaspard va a vivere con il cognato già maturo. Nicolas si dedica all’educazione del giovane, cercando di trasmettergli la sua impostazione rigorosa, ma conscio del carattere ben diverso del cognato, tra l’altro cacciatore appassionato, lo incita a diventare paesista. 


I primi anni da pittore vedono Dughet muoversi tra Roma, Napoli, Perugia e, forse, Firenze. Ospite del duca della Cornia fa tappa anche a Castiglione del Lago (Perugia). Successivamente il milanese Francesco Ariti lo porta nell’alto Lazio a quel tempo aspro e selvaggio. L’artista in un primo momento prende le distanze da quel territorio per poi restarne definitivamente affascinato. 


Il suo primo incarico pubblico è a Roma negli ultimi anni Trenta del Seicento a palazzo Muti Bussi, poi negli anni Quaranta, sempre nella capitale, riceve la commissione per un ciclo di affreschi bellissimi nella chiesa di San Martino ai Monti. Da qui inizia la sua fortuna come decoratore presso le grandi famiglie romane. Lavora per i Pamphilj nel palazzo di via del Corso e in quello di piazza Navona ancora nel quinto decennio del secolo. Poi, nel sesto decennio, è attivo in palazzo Colonna. Nel 1658 è a palazzo Doria Pamphilj di Valmontone (Roma) dove affresca il salone del principe e lascia mirabili paesaggi su tela. 


Sono del 1672 i pagamenti da parte dei principi Borghese per gli affreschi, in collaborazione con Filippo Lauri per le figure, nel loro palazzo di città. Ha successo, ma la sua scelta pura e coraggiosa di dipingere solo paesaggi lo pone successivamente su un piano minore rispetto soprattutto al grande Poussin. Eppure Dughet è interprete come nessuno di quel territorio vasto e complesso che ancora oggi va sotto il nome di “campagna romana”. Un luogo unico al mondo. Il Lazio è geograficamente ricco di diversità, aspre montagne coronano vallate solcate da fiumi e torrenti o svettano solitarie come divinità pietrificate. Coni vulcanici accolgono laghi antichi, profondi e inquietanti o aperti e assolati, le coste sono selvagge e sabbiose, i boschi impenetrabili e misteriosi, cascate vive brillano nella luce, veri e propri archetipi dell’inconscio universale. 


Nel XVII secolo molti paesi coronavano le cime ma non esistevano centri abitati importanti per cui Roma concentrava su di sé la gran parte della popolazione lasciando il vasto territorio collinare poco antropizzato. Questo permetteva di accedere a enormi aree deserte e silenziose, punteggiate a tratti dalle grandi rovine romane, relitti storici meravigliosi e imponenti, di una popolazione aliena di giganti di cui la maggior parte delle persone misconosceva l’origine. In questo creato “pagano” vive e regna Pan, re della Natura, metafora del nostro paesaggio interiore. L’Arcadia è il suo luogo di nascita dove l’uomo ha vissuto l’età dell’oro che gli è stata sottratta. Re dei pastori, dei pescatori e dei cacciatori, come loro è vagabondo senza dimora e senza meta. È figlio di Ermes, messaggero degli dèi, e di una ninfa che lo abbandonò avvolto in una pelle di lepre. 


Pan rivela alla nostra coscienza i luoghi oscuri della psiche dove nascono le pulsioni più profonde: desiderio, paura e angoscia. La paura ha un soggetto, l’angoscia ne è priva dal momento che non è legata a qualcosa di specifico, le motivazioni che la suscitano non sono immediatamente rintracciabili. Ma come non possiamo rinunciare al desiderio fonte di vita, cosi non possiamo rinunciare alla paura, necessaria per la nostra sopravvivenza perché ci protegge da pericoli e minacce.


ENORMI AREE DESERTE E SILENZIOSE, PUNTEGGIATE A TRATTI DALLE GRANDI ROVINE ROMANE


Paesaggio con cascata e viandante in riposo (1650-1655), Roma, palazzo Colonna.


Paesaggio con monte (1644), Roma, palazzo Doria Pamphilj.


Paesaggio roccioso con figure (1650-1655), Roma, palazzo Colonna.


Paesaggi con figure (1655), Roma, palazzo Colonna.