Finestre sull'arte
Il Pecci?
UN ORGANISMO INCLUSIVO
Federico D. Giannini
Quale sarà la linea che guiderà la sua azione?
Sarò attento alle esigenze del Centro Pecci inteso come complesso. È stato da subito nominato “centro” e non “museo”: un’identità che lo apre a una dimensione legata al futuro e all’interdisciplinarità. Chi entrerà avrà la sensazione di stare in un organismo con una visione d’insieme: sarà un invito a considerarlo un luogo non dal quale arrivare e ripartire subito, ma dove coltivare i propri interessi. Il Centro ha un dipartimento educativo, nato anche grazie al contributo di Bruno Munari, che ha sempre attribuito alla sperimentazione un ruolo fondamentale e che diventerà una piattaforma di pensiero su come rendere più inclusivo lo stesso Centro. Cercheremo poi di connettere il più possibile le diverse aree - cinema, didattica, ristorante, Urban Center [lo spazio per eventi recentemente inaugurato, ndr], arena esterna, spazi espositivi, biblioteca - perché insieme compongano una cosmologia di elementi dialoganti e capaci di consentire a chi entra di soffermarsi e approfondire. Penso al Centro come a una grande cassa armonica che amplifica le sue attività ma che è anche molto ricettivo verso ciò che accade intorno.
Su quali priorità si concentrerà?
Sulla programmazione degli spazi espositivi e su tutte le attività che competono alla direzione come quelle relative al cinema o all’Urban Center. Poi sulla promozione di una capillare relazione col territorio anche grazie alle iniziative del dipartimento educativo. Lavoreremo inoltre sul “fundraising” e alla rimessa in opera di alcune aree, come biblioteca e archivio.
Cosa porta a Prato dalle sue passate esperienze?
L’esperienza accademica mi ha dato modo di lavorare su un’idea precisa: se vogliamo capire cosa sia la professione curatoriale, oggi dobbiamo guardare a come certi direttori di musei negli anni Cinquanta trasformarono l’istituzione a partire dalle mostre tematiche. Inoltre, lo studio delle connessioni tra musei e industria tessile (pensiamo a palazzo Grassi a Venezia che nel 1951 aprì il Centro internazionale dell’arte e del costume sostenuto dalla Snia Viscosa) mi ha aiutato a essere più affine al linguaggio di un contesto come quello pratese. Sul versante curatoriale ho avuto diverse esperienze culminate alla Quadriennale di Roma, che mi hanno permesso di conoscere quanto avviene nel nostro paese e di confrontarmi con un’organizzazione molto simile a quello della Fondazione per le arti contemporanee in Toscana.
Può darci qualche notizia sul programma?
La prima mostra è Il giardino dell’arte. Opere e collezioni, una sorta di risposta ai due anni che abbiamo vissuto, alla situazione internazionale delicata e complessa, e il titolo richiama proprio il bisogno di un luogo di cura, di refrigerio, dove potersi raccogliere. Poi le mostre dedicate alla collezione del Pecci per riportare l’attenzione sulla raccolta. Infine, nel 2023 creeremo uno spazio espositivo permanente di una selezione di opere della collezione dove riflettere sui cambiamenti della seconda metà del XX secolo. L’attualità ci dimostra quanto sia importante conoscerli.