Blow up

MAIER

Giovanna Ferri

Avvicinandosi all’universo di Vivian Maier (New York, 1° febbraio 1929 - Chicago, 21 aprile 2009) si rimane spiazzati. Ancora oggi. Le prime monografiche a lei dedicate e ormai allestite in tutto il mondo risalgono al 2010, la scoperta del suo talento comincia dal 2007 quando John Maloof, giovane agente immobiliare, compra a un’asta di Chicago un grosso scatolone di negativi per trecentottanta dollari. Quel momento segna l’avvio di un eccezionale ritrovamento: circa centocinquantamila immagini fotografiche tra negativi, diapositive, stampe e rullini di pellicola non sviluppata, film in Super 8 e 16 millimetri, appunti, registrazioni, documenti di vario genere (oltre a oggetti e vestiti). Un archivio immenso che, com’è noto, non è mai stato condiviso né tanto meno esposto dalla sua autrice, tanto enigmatica quanto generosa nel coltivare la sua passione, forse ragione della sua esistenza. Di sicuro spazio di libertà, campo di espressione dove Maier procedeva con disinvoltura, dove era a suo agio, e al quale riservava un’attenzione rigorosa. Una “professionista” autodidatta che per scelta, agli occhi del mondo, era sempre apparsa unicamente come una bambinaia. Un lavoro che le permetteva di avere un alloggio, un compenso - regolarmente investito, pare, per l’acquisto di attrezzature e materiali fotografici - e, soprattutto, tempo libero per fare ciò che amava di più.


Chicago (1960).