Grandi mostre. 1
59. Mostra Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia

Oltre i confini
dell’umano

Finalmente in apertura dopo lo slittamento causato dalla pandemia, la Biennale d’arte di Venezia 2022, curata da Cecilia Alemani, si interroga sulla definizione di umano e ne esplora le trasformazioni nel mondo attuale.
A Latere, mostre ed eventi di richiamo internazionale.

Ilaria Ferraris

Dopo due anni di pandemia, nella speranza di una soluzione definitiva dell’emergenza sanitaria ma in uno scenario in cui la crisi ambientale e climatica è sempre più allarmante, apre al pubblico il 23 aprile la 59. Mostra internazionale d’arte della Biennale di Venezia, con una lettura trasversale e propositiva sull’attualità.

Il titolo scelto dalla curatrice Cecilia Alemani, Il latte dei sogni - The Milk of Dreams, riprende quello di un libro di favole di una delle principali esponenti del surrealismo, Leonora Carrington, dove creature fantastiche si animano e si trasformano grazie all’immaginazione. Si chiarisce quindi il tema portante dell’esposizione, ovvero l’indagine sulla trasformazione dell’umano, tra metamorfosi e ibridazioni di corpi e identità. A questo proposito, secondo Alemani, sono diverse le questioni ricorrenti nel panorama attuale: come sta cambiando la definizione di umano? Quali sono i suoi confini, che cosa lo differenzia dalle altre specie viventi? Quali responsabilità ha l’essere umano nei confronti di animali e vegetali che abitano questo pianeta? È poi possibile immaginare la vita senza di noi? 


Nel suo percorso di approfondimento, Alemani ha individuato tre aree tematiche intorno a cui sono organizzate le opere in mostra: la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi; la relazione - anche di ibridazione - tra individui e tecnologie; i legami tra i corpi e la terra. Per la prima volta, la mostra internazionale vede un’ampia, preponderante partecipazione di artiste donne e di soggetti non binari. Constatata la fragilità dei corpi in rapporto alle macchine che ci aiutano a gestire la nostra vita quotidiana, e vista l’urgenza di superare il paradigma occidentale del maschio bianco come centro e misura della costruzione sociale - nonché lo stesso antropocentrismo anche in rapporto alla crisi ambientale -, il futuro è pensato come postumano e postgender. Molte artiste e artisti suggeriscono la possibilità di nuove forme di trasformazione e coesistenza inusuali, anche con la costruzione di nuove comunità identitarie, per celebrare la libertà nei rapporti umani che abbiamo visto dolorosamente limitati durante la pandemia. 


Lungo il percorso espositivo, dal Padiglione centrale alle Corderie dell’Arsenale, si trovano anche cinque micro- mostre, quasi “capsule del tempo”, che - grazie anche all’allestimento del duo di designer Formafantasma - inseriscono rimandi tra le creazioni del percorso espositivo principale e opere storiche, un momento di indagine trasversale sulle metodologie a distanza di generazioni, per mostrare la centralità di alcune storie finora considerate “minori” e per riflettere sull’influenza delle pratiche museali sul gusto. La prima di queste “capsule”, fulcro di tutta la mostra internazionale, è in una sala nei sotterranei del Padiglione centrale, dove sono esposte opere di artiste delle avanguardie storiche tra cui Eileen Agar, Leonora Carrington, Claude Cahun, Leonor Fini, Ithell Colquhoun, Mailou Jones, Carol Rama, Augusta Savage, Dorothea Tanning e Remedios Varo. 


Alemani ha anche curato e realizzato, con l’aiuto di alcuni tutor, il primo College arte della Biennale, che si inserisce accanto a quelli già esistenti di cinema, teatro, danza e musica: tre artisti e artiste, selezionati in un’ampia platea di partecipanti, vedono le proprie opere inserite in mostra, fuori concorso, accanto a quelle dei colleghi già affermati.


Andra Ursuţa, Predators 'R Us (2020).


Kiki Kogelnik, Robots (1966).