Grandi mostre. 3
Architette da inizio novecento a oggi a Roma

LA CURVA INVADE
GLI EDIFICI

Settore tradizionalmente maschile, l’architettura, dal secolo scorso, diventa ambito di lavoro anche femminile.
Con un’attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale, alle consuetudini locali, in un’armonia di forme rotonde, morbide e accoglienti. Le stesse che troviamo nel periodo barocco. Ma, per gli archeologi, anche nel neolitico.

Lauretta Colonnelli

Sono più di cento le architette celebrate al Maxxi di Roma nella mostra Buone Nuove. Donne in architettura. Sono apparse nel Novecento, quando per la prima volta hanno conquistato l’accesso a una professione da sempre preclusa e lontanissima perfino dal mondo dell’immaginario, più impensabile dell’astronautica, tanto che la Mattel ha prodotto nel 1965 la Barbie astronauta, ma soltanto nel 2011 la Barbie architetta, perché, secondo l’azienda, «il lavoro dell’architetto è incomprensibile alle bambine». 


Non poteva esserci contenitore più idoneo, per un viaggio attraverso l’architettura femminile, del museo creato da Zaha Hadid, la prima donna a vincere nel 2004 il Pritzker Architecture Prize per il suo modo di ridisegnare le forme degli edifici sfidando tutte le convenzioni. Un viaggio che parte dal 1890, quando in Finlandia si laurea in architettura Signe Hornborg, ed è la prima al mondo. Prosegue con Elena Luzzatto, prima laureata in Italia nel 1925 e pioniera del razionalismo; con Norma Merrick Sklarek, nel 1954, prima afroamericana; con Ada Louise Huxtable, che negli anni Sessanta inventò la critica dell’architettura con la sua rubrica sul “New York Times”, e vinse nel 1970 il premio Pulitzer; con Maria Teresa Parpagliolo, tra le prime a occuparsi dell’architettura del paesaggio; con Lina Bo Bardi, convinta che la cosa più importante sia conoscere il modo di vivere della maggior parte della gente, e renderlo più confortevole: «L’architetto è un maestro di vita, nel senso più umile: sa costruire una stanza da bagno o un fornello per cucinare i fagioli; e ha il sogno poetico, che è bello, di un’architettura che dia un senso di libertà». 


Si cammina in mezzo a una folla di figure femminili che hanno contribuito all’evoluzione dell’architettura nell’ultimo secolo, quasi a un cambiamento antropologico: dallo stereotipo del maestro carismatico alla crescente presenza di studi guidati da architette, da coppie, da collettivi. Sfilano frammenti di storie raccontate da fotografie, videointerviste, carteggi, disegni, plastici. Ci sarebbe voluto un catalogo di migliaia di pagine per raccoglierle tutte. Perciò i curatori hanno rinunciato a farlo. Ma con la promessa di pubblicarne tanti in futuro, collegati ad altrettante mostre dedicate a singole figure o a temi specifici, che nasceranno da questa prima immensa retrospettiva. 


Non resta che osservare le centinaia di progetti già realizzati dalle mani delle donne. E, osservando, si nota a un certo punto che la scelta dei materiali da costruzione è più vicina alla natura, con un ritorno al legno, alla paglia, all’argilla; che esiste una certa attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale; che la ricerca delle tecniche più avanzate va di pari passo con il recupero delle tradizioni locali e artigianali. Si nota anche che l’uso della linea curva è più frequente dell’uso della linea retta.


UN GRATTACIELO CHE SOMIGLA A UNA TORRE DI NUVOLE BIANCHE OPPURE UNA COSTRUZIONE CHE SEMBRA SFIORARE IL FIORDO COME L’ALA DI UN UCCELLO


Benedetta Tagliabue, Padiglione spagnolo, particolare, World Expo Shanghai 2010.


Toshiko Mori, Thread Artists’ Residences & Cultural Center (2015), particolare, Sinthian (Senegal).


Itsuko Hasegawa, Fuefukigawa Fruit Park (1993-1995), particolare, Yamanashi (Giappone).