Arte contemporanea

DANH VO, ISAMU NOGUCHI,
PARK SEO-BO

di Cristina Baldacci

TRE ARTISTI DIVERSI PER GENERAZIONI E TRADIZIONI DIALOGANO CON LA STORIA E L’ARCHITETTURA DELLA FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA A VENEZIA

È dedicata a tre grandi artisti internazionali appartenenti a generazioni e tradizioni diverse, Danh Vo, Isamu Noguchi e Park Seo-Bo (un vietnamita, un giapponese e un coreano), la mostra che la Fondazione Querini Stampalia inaugura in concomitanza con la 59. Biennale di Venezia. Nato da una collaborazione con la galleria londinese White Cube e co-ideato dalla curatrice Chiara Bertola insieme al più giovane dei tre artisti, Danh Vo (Isamu Nogushi è scomparso nel 1988, Park Seo-Bo ha compiuto novant’anni a novembre scorso), il progetto espositivo mette in dialogo la storia e l’architettura della Querini, che, prima di diventare Fondazione nel 1869, è stata una residenza nobiliare, nonché scrigno di una vasta collezione di libri e opere d’arte. 


Come artista e curatore, Vo ha progettato di inserire le sue opere e quelle di Nogushi e Seo-Bo in un percorso fatto di interventi allestitivi leggeri che rivelano inattese stratificazioni e connessioni temporali tra gli oggetti esposti e il luogo che li ospita. Nato in Vietnam ma cresciuto in Danimarca (attualmente vive a Città del Messico), Vo è figlio di quella diaspora e ibridazione culturale che è al centro del suo lavoro. Identità e memoria sono i due temi portanti della sua ricerca, che si traduce in un’attività di meticoloso collezionista di tracce del proprio passato e di ciò che resta della storia. Gli oggetti e le immagini che Vo prima raccoglie e poi allestisce con cura hanno per lui il valore di reliquie. Come tali, trasformano lo spazio che abitano da espositivo in devozionale. È stato così (citiamo due degli interventi veneziani dell’artista precedenti la mostra alla Querini) per l’ambiente votivo che ha creato alla Biennale del 2013, dove ha rievocato la storia coloniale ricostruendo, con frammenti architettonici originali, un tempio vietnamita di culto cattolico (a Venezia nessun altro luogo, se non l’Arsenale, avrebbe potuto essere teatro di una simile impresa). Oppure, sempre in Biennale (2015), per il lavoro archeologico, insieme architettonico e scultoreo, realizzato all’interno del padiglione danese, che Vo ha ripensato come luogo di culto di reperti artistico-votivi appartenenti a luoghi ed epoche tra loro distanti. Come parte del programma Conservare il futuro, la mostra di Vo, affiancato da Nogushi e Seo-Bo, si inserisce in una riflessione sul concetto di tempo nell’arte e nella cultura che la Querini porta avanti da anni.


Opere di Danh Vo nel giardino del suo studio a Güldenhof (Berlino).