Camera con vista SORRENTINIANO NON È UN AGGETTIVO Luca Antoccia utti i registi che hanno lasciato un segno nel cinema italiano sono prima o poi entrati nel lessico con un aggettivo. T Così, c’è un perfezionismo estetico “viscontiano” come c’è un che di grottesco e onirico che si fa prima a definire “felliniano” o come ci sono certe periferie “pasoliniane”. Perfino certe intemperanze sono definibili “morettiane”. Nonostante tutto il suo successo stenta invece ad affermarsi, o a godere di contorni ben delineati, l’aggettivo “sorrentiniano”. Perché? Sorrentino ha talento da vendere (e tanto più dopo , candidato agli Oscar come miglior film straniero nel momento in cui andiamo in stampa): creare e gestire personaggi principali e scene madri sono il suo punto forte. Solo che ai primi si accompagna una proliferazione bulimica di figure di contorno che a volte finiscono per togliere ai personaggi principali aria e spessore e nelle sequenze chiave si nota una cronica incapacità di chiuderle (a titolo di esempio la sequenza tra Harvey Keitel e Jane Fonda in Youth - La giovinezza e quella col personaggio Antonio Capuano in ). Non c’è ancora un aggettivo “sorrentiniano” perché la sua cifra è in fondo il “pastiche”: nel doppio senso di opera in cui si cita deliberatamente lo stile di uno o più autori, specie Fellini (in quello di ), e di tecnica compositiva che fonde sottocodici e registri diversi. “Pastiche” strutturale e stilistico dunque. E l’irruzione in quest’ultimo film di un forte elemento autobiografico, senza rinunciare ai precedenti aspetti, non ha fatto altro che rendere più evidente la natura a intarsio delle sue opere in cui alcune trovate, anche bellissime, finiscono per sembrare avulse, inconcludenti. Certo che alcune immagini (per esempio le sequenze nella piscina di , caratterizzate da uno spiccato nitore tra Hockney e gli iperrealisti), con la loro grande bellezza, fanno venir voglia di passar sopra a ogni opacità. È stata la mano di Dio È stata la mano di Dio È stata la mano di Dio Amarcord Youth In , come nella , la fotografia di Luca Bigazzi compie spesso il miracolo di calamitare l’occhio dello spettatore e di nascondere la strana eterogeneità dei suoi film dei quali resta il suo vero autentico capolavoro, forse perché in quel caso il registro realistico e quello grottesco devono convivere programmaticamente fin dal titolo e dal personaggio centrale che unifica la narrazione. Youth Grande bellezza Il divo Un frame da È stata la mano di Dio (2021), di Paolo Sorrentino.