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LE COLONIE IN RIVIERA,
C’È CHI ASPETTA E C’È CHI SPERA
Fabio Isman
Le colonie “elioterapiche”, o marine, sono i residui di un turismo che non c’è più: chi, oggi, “va in colonia”? Quel turismo è durato per circa un secolo, da fine Ottocento, ed è sparito dopo gli anni Settanta del Novecento. Lasciando però abbondanti, e spesso purtroppo decadenti, tracce di sé. Già nel Settecento la pediatria aveva scoperto che sole e acqua di mare recavano benefici alla tubercolosi; e la prima colonia estiva in Italia, che si sappia, risale al 1822: l’ospedale di Lucca la progetta a Viareggio, per i bambini di strada. L’impulso maggiore è però del secolo successivo, e si manifesta soprattutto in Romagna: oggi da Marina di Ravenna fino a Cattolica (Rimini) si alternano le costruzioni sul mare, spesso anticipatrici di stilemi architettonici successivi. Molte, edificate durante il passato regime; ma tante anche nel dopoguerra.
Manca un regesto completo, c’è soltanto un’indagine compiuta dal benemerito Istituto per i beni culturali dell’Emilia- Romagna (ma, se era benemerito, perché non c’è più?): nel 1986, nella zona di competenza, ne ha censite duecentoquarantasei, con un immenso patrimonio di un milione e mezzo di metri quadrati, due milioni e mezzo di cubatura. Nemmeno due centesimi sono gli antichi “ospizi marini”, che precedono il 1915; sette su cento nascono sull’Adriatico tra le due guerre; ma oltre gli otto decimi, dopo il 1945. Dunque, le colonie non sono un’invenzione fascista, come pure qualcuno vorrebbe. Nel dopoguerra, parecchie erano intitolate a società, o a enti pubblici: le vacanze per i figli dei dipendenti costituivano allora un “fringe benefit”. Poi il mondo è cambiato. E anche il turismo: è arrivato quello “di massa”. E, ahinoi, la trasformazione di queste strutture ha spesso costituito altrettante occasioni mancate. Poche, non soltanto sulla costiera romagnola, sono diventate scuole; qualcuna di più è oggi un albergo; molte sono state addirittura abbattute. La loro fine, o l’abbandono, si possono datare dagli anni Ottanta del secolo scorso.
L’immensa Novarese a Miramare di Rimini (mille bambini e duecento addetti: cinque piani, lunga centoventi metri per una cubatura di quasi trentatremila) nasce nel 1935, in quattro mesi: un progetto a forma di transatlantico di Giuseppe Peverelli, che mostra tutte le caratteristiche del razionalismo; ma il suo riuso, dopo svariati tentativi e progetti, dal 1957 è ancora solo una speranza. Come a Cervia (Ravenna) è ormai dimenticata la Montecatini del 1938, divenuta poi proprietà dei Monopoli di Stato; o, a Milano Marittima (Ravenna), la Costanzo Ciano del 1937. La Trento a Igea Marina, in provincia di Rimini (1938, progetto di Emilio Gaffuri e dell’ingegner Segalla) ha invece cessato di vivere nel 1988; e l’anno successivo, pur contro le norme di tutela, la Dante di Cervia, del 1927. Negli anni Settanta, invece, sostituita da un parcheggio una delle più antiche di Milano Marittima, la Mantovana, inaugurata nel 1933 da Achille Starace. Ma sono soltanto alcuni casi, e le lamentele potrebbero continuare assai più a lungo. Tante sono, infatti, le strutture in rovina, anche da decenni. Del resto, per combattere la tubercolosi erano già arrivati gli antibiotici: così, molti di questi edifici sono diventati delle “belle addormentate”, e tali restano. Ma, per fortuna, non tutti.


