Studi e riscoperte. 2
L'iconografia di Ruggero e Angelica

l'eroina
e il suo salvatore

Nel X canto dell’orlando furioso l’incontro tra Ruggero e Angelica è stato motivo di ispirazione per molti artisti, che hanno dato le loro personali letture dell’avvincente episodio in modo più o meno conforme alla fonte letteraria.

Roberto Middione

«Non è finto il destrier, ma naturale, ch’una giumenta generò d’un grifo: simile al padre avea la piuma e l’ale, li piedi anteriori, il capo e il grifo; in tutte l’altre membra parea quale era la madre, e chiamasi Ippogrifo; che nei monti Rifei vengon, ma rari, molto di là dagli aghiacciati mari». 


Così nel IV canto dell’Orlando furioso viene descritto il favoloso destriero aggiogato dal mago Atlante, sottratto da Bradamante, cavalcato poi da Ruggero e infine da Astolfo. Ma è nel canto X che si sviluppa la magia che dà corpo alla nostra carrellata iconografica, squadernata nei secoli e in bilico tra riferimenti ai cicli cavallereschi carolingio e bretone e reminiscenze dall’antichità, Ovidio in primis. Vi incontriamo il saraceno Ruggero, giunto in volo all’isola di Ebuda (Irlanda), che scorge con raccapriccio una giovane nuda incatenata a uno scoglio: è Angelica, perla del Catai (l’attuale Cina), offerta in sacrificio a un orribile mostro marino, l’orca. Anche in virtù di artifici magici - lo scudo di Atlante che acceca ogni nemico, l’anello magico di Brunello e Melissa che rende invisibili e blocca ogni incantesimo - l’orca viene abbagliata e lasciata priva di sensi tra le onde, mentre Ruggero porta via Angelica sull’ippogrifo. Inutile dire che il giovane vittorioso ci proverà con la donna, scorrazzandola fino in Bretagna, ma questa, bizzosamente irriconoscente, respingerà ogni avance, anzi scomparirà proprio grazie allo stesso magico anello. 


Cecco Bravo, Filippo Napoletano, Stefano della Bella, Lanfranco, e poi Ingres, Delacroix, Doré, un Burne-Jones attorcigliato come una iniziale miniata, un divertente Böcklin ne hanno offerto diverse versioni pittoriche, più o meno fedeli al dettato letterario, alcune cupe fino all’orrido, altre ironiche o pruriginose, ipercinetiche, oniriche, surreali. 


Oltre che dall’Orlando innamorato di Boiardo è evidente la filiazione dall’episodio di Andromeda, principessa di Etiopia, salvata da un mostro del mare grazie a Perseo, figlio di Zeus, già vincitore della Gorgone Medusa; lo racconta Ovidio nel IV libro delle Metamorfosi. Il soccorso a volo dell’eroe, la giovane incatenata a uno scoglio (quasi una Eva del mito), l’insidia marina, il destriero alato - che sia Pegaso nato dal sangue di Medusa oppure l’ippogrifo iperboreo - sono elementi che non lasciano dubbi. In questo caso la tradizione iconografica è anche anteriore rispetto a quella di Ruggero e Angelica: un elegante Veronese nel 1560 e Tiziano, con una delle Poesie per Filippo II di Spagna, aprono i giochi, prosegue Rubens con due esemplari ariosi e sontuosi di cromatismo tonale in sinfonia di rossi, poi nell’Ottocento un tempestoso Chassériau e Doré - che lascia sola alle prese col mostro un’Andromeda modellata su una figura da “tepidarium” - fino a un Gustave Moreau tutto intriso di spiritualismo psichedelico.


DIVERSE VERSIONI PITTORICHE, PIÙ O MENO FEDELI AL DETTATO LETTERARIO, ALCUNE CUPE FINO ALL’ORRIDO, ALTRE IRONICHE O PRURIGINOSE, IPERCINETICHE, ONIRICHE, SURREALI


Edward Bune-Jones, Il destino compiuto (1888), Stoccarda, Staatsgalerie.