Grandi mostre. 7
Le culture megalitiche della Sardegna a Napoli

figure
di pietra

Le antichissime testimonianze della Sardegna, dal neolitico all’epoca nuragica, sono al centro di un grande progetto espositivo al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dopo le tappe di Berlino, San Pietroburgo e Salonicco.

Sergio Rinaldi Tufi

È in corso al MANN - Museo archeologico nazionale di Napoli fino all’11 settembre, dopo precedenti allestimenti a Berlino, San Pietroburgo, Salonicco, la mostra Sardegna isola megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo, incentrata sulle grandi e grandissime realizzazioni in pietra che caratterizzano quella terra fin da tempi antichissimi: per parlarne, però, cominciamo da sculture piccolissime. 


Piccolissime, ma ci dicono molto sul sentimento religioso delle comunità preistoriche: si conoscono oltre centotrenta statuine in pietra, osso o argilla, per il novantacinque per cento femminili, provenienti da tombe, abitati o santuari. Sono raffigurazioni della Dea madre, entità divina presente in tutta Europa e in Oriente, nell’ambito di credenze che riconoscevano alla donna un’energia vitale di cui l’uomo invece non era provvisto. Molte si collocano nel Neolitico medio, intorno a sessantacinquemila anni fa. Furono studiate dal grande archeologo sardo Giovanni Lilliu, e la mostra ne presenta due, peraltro frammentarie (in sostanza, due testine), provenienti da Meana Sardo (Nuoro), più tardi sede di una serie di strutture nuragiche. In queste e in altre figure (quelle che ci sono pervenute integre hanno forme molto stilizzate, ma notevolmente piene), il capo ha una struttura cilindrica che si restringe lievemente verso la parte alta, che appare appiattita; semplici linee delineano il contorno di quella che era una capigliatura oppure un qualche copricapo o calotta, spiovente comunque lungo i lati del volto e nella parte posteriore. Le sopracciglia sono indicate mediante una linea orizzontale continua, sotto cui si imposta, piuttosto “geometrizzato”, il naso: la cosiddetta “faccia a T”. 


Molto più tardi, in epoca nuragica, si afferma anche una figura paterna, definita appunto “Sardus Pater”. È una paternità un po’ particolare: si pensava che fosse stato il dio a dare il nome all’isola, in precedenza chiamata Ichnussa, e non viceversa. A questa divinità sarà consacrato fra l’altro nel IX secolo a.C., cioè all’epoca della presenza fenicia, il tempio di Antas, nella parte sud-occidentale dell’isola; il culto sarà praticato ancora in età romana, come risulta da una moneta (60 a.C.) del pretore Atio Balbo, che reca il nome e l’effigie del dio, con corona piumata. Questo dettaglio lo caratterizza da sempre: vediamo in mostra un elegante bronzetto, o meglio una testina, di forma molto allungata, con grandi occhi ogivali, che si data al VII secolo a.C. e reca proprio tale tipo di attributo, che rende plausibile, anche se non sicura al cento per cento, l’identificazione. Rinvenuto a Decimoputzu (Sud Sardegna), sede fra l’altro di una fortezza nuragica ancora da indagare, è conservato nel Museo archeologico nazionale di Cagliari. Proprio ad Antas, inoltre, è stato trovato un altro bronzetto (non in mostra), stavolta a figura intera, con un copricapo simile, e in questo caso l’identificazione diviene ancora più probabile. 


Figure “materna” e “paterna”, dunque, anche se non agevolmente rapportabili fra loro. Per quanto riguarda la scultura, la mostra pone in buona evidenza sia le grandi dimensioni dei “Giganti” o “Guerrieri di Mont’e Prama”, sia la varietà della produzione di bronzetti dedicati a un gran numero di soggetti, di cui si parla nel dossier allegato a questo numero della rivista (Arte nuragica). Nell’ambito delle altre aree tematiche, l’esposizione si sofferma invece su vari oggetti di pregio, e in particolare sulle collane. Fra le più antiche ne ricordiamo una di pietra, o per meglio dire di ciottoli di forma appuntita di dimensioni comprese fra nove e diciannove millimetri, rinvenuta nella necropoli di Li Muri presso Arzachena (Sassari) e databile al Neolitico medio; fra gli esemplari relativamente più recenti sono da ricordare quelli rinvenuti nel santuario di Romanzesu presso Bitti (Nuoro), formate da vaghi circolari (di vario diametro) di ambra proveniente dal Baltico e risalenti al Bronzo medio, quasi certamente dono di un ricco frequentatore e fedele. Nell’ampio e differenziato panorama degli scambi e traffici che coinvolgono l’isola, quindi, trova posto anche questa resina di gran lusso, importata per secoli attraverso percorsi fluviali e terrestri che conducono al Mediterraneo (soprattutto all’Italia e alle isole di Grecia ed Egitto: punto di raccolta e smistanento diventerà Aquileia), ma anche al mar Nero.


Collana neolitica , (Neolitico tardo), rinvenuta nella necropoli di Li Muri (Arzachena, Sassari), Cagliari, Museo archeologico nazionale.


Testina di Dea madre neolitica (Neolitico medio), esemplare rinvenuto a Meana Sardo (Nuoro), Cagliari, Museo archeologico nazionale.


Testina di Dea madre neolitica (Neolitico medio), esemplare rinvenuto a Meana Sardo (Nuoro), Cagliari, Museo archeologico nazionale.