TEORIE DEL GIOCO Che corrispondenze e rapporti intercorrono tra arte e gioco? n generale prima di rispondere a questa domanda è necessario definire a quale tipo di arte ci si riferisce e che sorta di gioco si intende. Roger Caillois individua quattro categorie diverse legate all’attività ludica: l’“agon”, l’“alea”, la “mimicry”, l’“ilinx” . L’agon soggiace alle dinamiche e alle regole della competizione, a tutto ciò che è agonistico, che dipende da abilità, resistenza, forza, memoria e ingegnosità dei giocatori. L’alea include l’azione del caso, o meglio, il coinvolgimento della casualità, l’irruzione di qualcosa che non si riesce a tenere sotto controllo, la speranza che vi sia il favore del destino. La mimicry si rapporta all’imitazione e al simulacro. L’ilinx è un’azione che permette di provare le emozioni causate dalla vertigine, il tentativo di perdere per alcuni istanti la stabilità della solita percezione del reale. Ilinx è anche la creazione di voluttuoso panico, il riuscire a entrare in trance, come fanno i dervisci danzanti. Ma qui si apre una ulteriore questione, più complessa e sottile, del coinvolgimento di qualcosa che include sia il gioco sia la ritualità, tra corporeità, immaginazione e slancio religioso o mistico. Ci sono anche modalità che coinvolgono e attivano contemporaneamente due o più categorie, e giochi in cui l’adrenalina dettata da una grande aspettativa proiettata sul responso del risultato fa sentire al giocatore sia le emozioni della competizione agonistica sia quelle causate dalla vertigine, e così via incrociando le altre categorie individuate da Caillois. Inoltre, potremmo aggiungere anche l’attività ludica legata al passatempo, allo svago, senza intenti agonistici né attese dei responsi del caso, senza travestimenti o ricerche della vertigine: soffiare e inseguire bolle di sapone, lanciare palle di neve con amici, scorgere forme nella mutevolezza delle nuvole, scarabocchiare segni informali su un foglio, oziare con creatività, e così via, tutto ciò che permette di farci divertire attraverso un’attività allegra, frivola, che apre al disimpegno e alla spensieratezza. Anche l’attività erotica può essere annoverata nella sfera giocosa e induce proiezioni immaginative ludiche inerenti al piacere o al passatempo. I (1) Note R. Caillois, I giochi e (1) gli uomini. La maschera e la vertigine [Les Jeux et les hommes: le masque et le vertige, 1958], introduzione e note di G. Dossena, Milano 1981. Bambini che giocano a trigon (II secolo d.C.); particolare dell’affresco proveniente dalla Tomba dei dipinti nella necropoli di Pozzo Pantaleo (Roma). Il gioco della pelota, da Las Cantigas de Santa Maria di Alfonso X (XIV secolo); Madrid, El Escorial, Real Biblioteca de San Lorenzo. Charles Hulpeau, Jeu de Paume (1632); Parigi, Bibliothèque Nationale. Sotto l’egida dell’agon si trovano le rappresentazioni pittoriche o scultoree con i giocatori di scacchi, di dama, di backgammon, di carte, di trigon, di bocce, di pallacorda, di pelota, di hockey, di gare sportive (corse, gare di tiro, atletica ecc.), scene di tornei, di duelli. L’agon include sia il carattere muscolare (che comporta sforzi assidui, allenamenti appropriati, attenzione costante, disciplina, perseveranza, volontà di vincere) sia quello cerebrale (intelligenza, memoria, lucidità, intuito, personalità, lettura delle partite ecc.). Ovviamente anche in questa categoria il favore della fortuna o della buona sorte può indirizzare la via della vittoria. Per quanto riguarda la storia dell’arte inseriamo nella categoria dell’alea le opere in cui le persone sono descritte mentre giocano con gli astragali o i dadi, immerse nella lettura dei Tarocchi, scene di lotterie, partite a testa o croce, baccarà, giochi in cui si tratta di vincere sul destino o dove il vincitore è stato più favorito rispetto alla sorte del vinto. L’arbitrio del caso e il favore del destino costituiscono la molla dell’alea. Il giocatore attende con speranza e trepidazione il verdetto della sorte. La mimicry invece è una possibilità ludica dove il soggetto gioca a credere, a farsi credere o a far credere agli altri di essere un altro. In questo campo ludico si abbandona momentaneamente la propria personalità per fingerne un’altra: e qui potremmo comprendere i travestimenti di Henri de Toulouse-Lautrec, Claude Cahun, Marcel Duchamp, Cindy Sherman, Luigi Ontani e di tutti gli altri artisti che hanno costituito la loro ricerca utilizzando la mimesi concettuale . La mimicry ingloba il mimetismo, la capacità di imitare qualcosa, di modellarsi su un personaggio illusorio, di mascherarsi o di travestirsi, il coinvolgimento del simulacro. Mi riferisco in prima istanza ai giochi in cui un bambino imita l’adulto, dove i giocattoli riproducono in miniatura gli apparecchi, le armi, gli arnesi di cui si servono i grandi. Ma rientra nella sfera del mimicry anche il bambino che apre le braccia e finge di volare come un uccello. Il discorso vale anche per gli adulti e per il piacere o il divertimento di chi si abbandona alle narrazioni che nascono dalla finzione, dello stare celato in una maschera, dei travestimenti, della rappresentazione teatrale, il piacere di provare a essere un altro o farsi passare per un’altra. I bambini greci o romani che imitano gli dèi o gli eroi o che si identificano con i campioni e i trionfatori dell’agon mettono in azione la mimicry. La visione greco-romana riprende dalle culture precedenti l’esercizio di quelle attività con le quali da soli o in gruppo, bambini e adulti, si gioca per puro divertimento o per svagarsi dagli impegni quotidiani: i bambini, come hanno insegnato Platone e Aristotele, giocando prendono contatto con la società che li circonda, imparano a rispettare le regole con lealtà, pena l’esclusione dalla comunità. Per quanto riguarda l’ilinx, sicuramente la vertigine appartiene al gioco del toro praticato a Cnosso, come è documentato nella pittura parietale di Heraklion realizzata nel 1600 a.C., a certi riti iniziatici e a momenti di estasi, al gioco della trottola, ovvero alla rotazione frenetica che alcuni bambini mettono in azione fino a diventare balordi e lasciarsi cadere a terra per vedere tutto il mondo girare, all’altalena, alla corsa a rotta di collo giù per una discesa, al salire su una giostra che gira veloce, all’entrare nei meccanismi infernali dei Luna Park. L’ilinx è anche ciò che appartiene all’acrobazia, alla caduta nel vuoto, alla velocità, a qualsiasi forma di brivido estremo, al gioco che finisce in rissa, è l’ebbrezza procurata con l’azione frenetica o convulsa del corpo, tutto ciò che è al contempo uno smarrimento sia psichico sia organico. Questa sensazione è messa in atto anche dagli animali: il cane che rotea su se stesso per afferrare la coda finché cade, antilopi, gazzelle, gnu, cavalli selvaggi che provano l’irresistibile desiderio di correre anche senza che vi sia un reale pericolo o senza che siano rincorsi da un predatore, camosci che si lasciano scivolare lungo un pendio scosceso, gibboni che si lasciano proiettare violentemente in aria grazie a rami flessibili, uccelli che si lasciano cadere nel vuoto da grandissime altezze quasi fino a sfracellarsi a terra per poi risalire di nuovo e ripetere più volte la stessa esperienza. (2) Note Cfr. M. Zanchi, I travestimenti di Claude Cahun, Marcel Duchamp ed Henri de Toulouse-Lautrec, in “Antinomie”, 14 febbraio 2021: https://antinomie. it/index.php/2021/02/14/itravestimenti- di-claude- cahun-marcel-duchamp- ed-henri-de-toulouse- lautrec/ (2) Giambattista Tiepolo, La morte di Giacinto (1752-1753), intero; Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza. Giambattista Tiepolo, La morte di Giacinto (1752-1753), dettaglio, si può notare una racchetta da “jeu de paume”, antenato del tennis; Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza. Giocatori con bastoni e palla (510-500 a.C.); Atene, Museo archeologico nazionale. All’ilinx possiamo collegare anche quei giochi in cui il combattimento procura smarrimento, panico momentaneo, stordimento, fino allo svenimento o alla morte, come per esempio gli sport estremi. Secondo Hans- Georg Gadamer, l’opera d’arte rientra nel campo d’azione del gioco se si considera come un evento che non è separabile dalla sua rappresentazione e manifestazione, ovvero come qualcosa che si compie solo temporalmente attraverso la fruizione e comprensione degli spettatori. Nell’arte contemporanea ci sono molti esempi che confermano l’ipotesi del filosofo tedesco, là dove l’installazione o l’allestimento irretiscono il fruitore nel gioco, lo fanno stare al gioco, lo includono nell’opera. Mi riferisco per esempio a certi lavori di Jean Tinguely, Alighiero Boetti, Carsten Höller, Elmgreen & Dragset, Július Koller, Rirkrit Tiravanija, Pipilotti Rist, Jeremy Deller, Mike Kelley, Erik Kessels e a coloro che hanno costituito la loro ricerca sull’arte partecipata e relazionale. Gli articolati scivoli creati da Carsten Höller in più declinazioni sono installazioni interattive e divertenti, al contempo pezzi di architettura e opere “sitespecific”, che aprono nuove prospettive sul mondo e sulle nostre abitudini quotidiane: attraverso l’esperienza ludica producono nel fruitore sensazioni a metà strada tra gioia e vertigine. L’artista thailandese Rirkrit Tiravanija, con l’opera ( ) (2012), intende provocare incontri e relazioni tra sconosciuti, per dare origine a dialoghi che promuovono nuovi modelli di azione e di vicinanza con altri individui. L’installazione, costituita da un gruppo di sette tavoli da ping pong e da racchette sopra cui è stato dipinto un punto interrogativo, crea un legame tra opera e spettatore, trasformando uno spazio espositivo in un luogo attivo, dove i visitatori non sono osservatori passivi ma partecipanti a un incontro attraverso una serie di partite. Il museo quindi passa dall’essere un luogo chiuso a uno spazio sociale che può essere abitato in modo giocoso, dove l’arte è sia nel campo del gioco sia nella possibilità del caso. Tiravanija propone questo lavoro come una riattivazione del progetto ( ) dell’artista slovacco Július Koller (1939-2007), interessato all’aspetto democratizzante di sport in cui due giocatori interagiscono rigorosamente secondo le regole del gioco, garantendo “fair play”. Nel 1970, Koller fu invitato a esporre alla Galerie der Jungen di Bratislava. Installò un tavolo da ping-pong e i visitatori furono incoraggiati a giocare contro di lui e tra di loro. Il ping-pong fu considerato dall’artista una metafora della comunicazione. In occasione del Festival internazionale di arti visive di Glasgow, nel 2012 Jeremy Deller realizza , un gigantesco gioco gonfiabile per bambini, che riproduce in scala 1:1 il sito archeologico di Stonehenge. È una sorta di scultura, intesa però come strumento utile per favorire un’esperienza sociale di scambio e aggregazione. Il pubblico è chiamato a interagire con l’installazione, a salirci sopra, saltare e giocare al suo interno. L’artista britannico crea progetti che includono oggetti ed eventi, tra realtà e rappresentazione, storia e fiction, ricostruzione filologica e paradosso. Alla base del suo lavoro c’è un sentito interesse per gli eventi storici, per la cultura popolare e le manifestazioni del folklore e della cultura di massa. Untitled Tomorrow Is the Question Universal Physical-Cultural Operation Ping-Pong Sacrilege Gioco della palla (510 a.C. circa), base per kouros funerario; Atene, Museo archeologico nazionale. Rirkrit Tiravanija, Tomorrow is the Question, (2019); Saskatoon, Remai Modern. Maurice Guibert, Henri de Toulouse- Lautrec travestito da donna, con il cappello e il boa di Jane Avril (1892 circa); Albi, Musée Toulouse-Lautrec. Per quanto riguarda il rapporto tra esperienza ludica e arte si innesca anche una serie di altre questioni: il gioco è indipendente dalla coscienza dei giocatori? L’atto del giocare è al tempo stesso un esser-giocati dalle regole dell’esperienza ludica? Il gioco si converte in cultura, o la cultura, nelle sue fasi iniziali, sorge in forma ludica ed è giocata? Il gioco è veramente una attività liberamente scelta, come pensa Aristotele, che la equipara alla felicità e alla virtù, all’autosufficienza e alla libertà, alla mancanza di necessità? Sicuramente l’attività ludica mette in moto l’immaginazione e l’intelletto, le nostre facoltà conoscitive, e quindi, per la sua funzione biologica, è fondamentale forma di apprendimento, sia in chiave pedagogica sia per quanto riguarda gli aspetti psicologici. Crea una relazione fondamentale fra ciò che è reale e ciò che è immaginario. Fa esperire la trasformazione simbolica del vissuto. Secondo Friedrich Fröbel, la tendenza spontanea all’attività creatrice dell’uomo si manifesta essenzialmente nell’attività ludica, che non è intesa come puro divertimento o inutile perdita di tempo, ma come qualcosa che è della stessa natura dell’arte, di fondamentale importanza per lo sviluppo. Il gioco come azione strutturata da regole coinvolge anche la teoria proposta da John von Neumann e da Oscar Morgenstern, che ha trovato applicazione principalmente in economia e nell’ambito della teoria delle decisioni, o della scelta razionale: un modello matematico per lo studio delle “situazioni competitive”, in cui sono presenti più persone (o gruppi di persone, o organizzazioni) intese come “giocatori”, con autonoma capacità di decisione e con interessi contrastanti. Per alcuni filosofi, anche l’essenza del linguaggio implicherebbe una sorta di rapimento “ludico”, che trascende la volontà della singola persona, nel suo rapporto col mondo, entro un gioco infinito, in cui si cercano continuamente nuove soluzioni, scelte e svolgimenti. Konrad Lorenz individua come la specie umana, caratterizzata da comportamenti non specializzati e particolarmente flessibili, soprattutto nel periodo giovanile abbia bisogno di esplorare realtà sempre nuove ed esperire situazioni in nuovi ambienti. Caillois individua anche altre due identità del gioco, al contempo opposte e complementari: la “paidia” e il “ludus”. La “paidia” abbraccia le manifestazioni spontanee dell’istinto del gioco, vissute sia dalle persone sia da quasi tutte le specie del mondo animale. È percepita come divertimento, fantasia incontrollata, turbolenza, eccitazione, riso, allegria, sorpresa, novità, scarto, improvvisazione. L’azione del “ludus”, invece, si manifesta come volontà di superare gli ostacoli, coinvolge attività fisica o abilità mentale, calcolo, capacità combinatoria, pazienza: si applica a tutte le gare sportive, alla sfida con se stessi, al gioco degli scacchi, alla risoluzione di enigmi, ai rompicapo matematici. Per Johan Huizinga il gioco è un’attività in un certo senso fisiologica che riesce però a travalicare, anche nel mondo animale, i limiti dell’attività biologica, in quanto è una attività libera, cui l’individuo aderisce per propria scelta . La forza dell’attività ludica permette di instaurare una consapevole realtà fittizia diversa da quella della vita ordinaria, creando così al contempo sia qualcosa che è realmente nel tempo quotidiano sia qualcos’altro che è apertura a un’alterità. Le dinamiche che si vengono a creare attraverso il gioco sono interessanti soprattutto per la messa in azione di intenti disinteressati, in quanto non congiunti a interessi materiali o di sopravvivenza, e, nei casi più estremi, nemmeno a desideri di ricompensa. Inoltre l’attività ludica è articolata secondo un sistema di regole artificiali e inderogabili, Carsten Holler, Scivolo (2016); Londra, Queen Elizabeth Olympic Park. cui il giocatore si assoggetta sempre per libera scelta. Secondo Huizinga, il gioco è il centro di propulsione da cui prenderebbero forma nel tempo le attività umane e che non si connette a finalità di sopravvivenza o di sussistenza: arte, letteratura, teatro, diritto, scienza, religione, filosofia e tutto ciò che è nato nelle civiltà. Al contempo, però, lo storico olandese pensa che nell’antichità quasi sempre «l’opera d’arte partecipa alla sfera sacrale, è anzi carica delle sue facoltà potenziali: forza magica, significato sacrale, identità rappresentativa delle cose cosmiche, valore simbolico, consacrazione insomma. […] Consacrazione e gioco stanno tanto vicini che sarebbe strano se la qualità ludica del culto non avesse esercitato qualche influenza anche sulla produzione e sull’apprezzamento dell’arte figurativa. Non senza esitazione oso domandare ai conoscitori della cultura ellenica se un certo nesso semantico fra culto, arte e gioco non sia espresso nella parola greca agalma, che fra l’altro significa statua o idolo» . (3) (4) (5) Note «L’autentico soggetto del gioco non è il giocatore ma il gioco stesso. È il gioco che ha in sua balia il giocatore, lo irretisce nel gioco, lo fa stare al gioco. Il gioco come tale non lascia più sussistere per nessuno l’identità di chi gioca. Tutti domandano solo più che cosa è il gioco, che cosa esso significa. I giocatori non sono più; ciò che è, è solo ciò che da essi è giocato. […] Il primato del gioco rispetto ai giocatori, quando si tratta del soggetto umano che si atteggia nel comportamento ludico, viene riconosciuto in maniera peculiare anche dai giocatori stessi. […] il gioco stesso è un rischio per chi lo gioca. Solo con possibilità serie si può giocare. Ciò significa chiaramente che uno si abbandona a esse al punto che possono prendere il sopravvento e farsi valere contro di lui. Il fascino che il gioco esercita sul giocatore risiede proprio in questo rischio. Ciò che si gode in esso è una libertà di decisione che però nello stesso tempo è minacciata e irrevocabilmente limitata. Si pensi ad esempio ai giochi di pazienza. Ma lo stesso vale nell’ambito della vita seria. Se qualcuno, per compiacersi della propria libertà di scelta, sfugge a decisioni importanti e urgenti, oppure si occupa di possibilità che in realtà non prende sul serio e che quindi non implicano il rischio che egli le scelga e, di conseguenza si limiti, costui lo si chiama verspielt (poco serio)» (Hans-Georg Gadamer, Verità e metodo, Bergamo 2004, p. 137). Per approfondimenti si veda: J. Huizinga, Homo ludens [1939], trad. it., Torino 1973. con un saggio introduttivo di U. Eco. Id., op. cit., p. 197. (3) (4) (5) Carsten Holler, Scivolo (2016); Londra, Queen Elizabeth Olympic Park. Cindy Sherman, Untitled #193 (1989); San Francisco, San Francisco Museum of Modern Art, The Doris and Donald Fisher Collection. In Untitled #193, Cindy Sherman si è calata nei panni di Madame de Pompadour, l’amante del re Luigi XV, e ha poi creato una serie di fotografie che ha presentato a Parigi in occasione del bicentenario della Rivoluzione francese. La serie richiama i dipinti dei vecchi maestri e suggerisce un discorso storicoartistico più ampio legato alle questioni di genere e di classe sociale. Questa immagine è letta come una parodia del ritrattista e della sua modella, qui entrambi interpretati dall’artista statunitense. L’evidente e umoristico artificio serve a ricordare la produzione culturale costruita e spesso dominata dagli uomini. Carsten Holler, Scivolo (2018); Firenze, palazzo Strozzi. A palazzo Strozzi, Carsten Höller e lo scienziato Stefano Mancuso hanno messo in azione The Florence Experiment (2018), al contempo un progetto site-specific e un esperimento per studiare l’interazione tra piante ed esseri umani attraverso due monumentali scivoli. Ogni persona discendeva portando con sé una pianta di fagiolo, consegnata poi a un team di scienziati che ne analizzava i parametri fotosintetici e le molecole emesse come reazione alla discesa.