BlowUp Weiss di Giovanna Ferri Sabine Weber (questo il suo cognome da ragazza) nasce a Saint-Gingolph (Svizzera) nel 1924. Si forma, come fotografa, presso lo studio Boissonnas di Ginevra. Lì per tre anni (dal 1942 al 1945) impara le tecniche e tutto ciò che serve per scendere in campo con il suo obiettivo. Rimanendo nel suo paese? No, partendo per scoprire nuovi luoghi e nuove culture. Va a Parigi: attraente, brulicante di stimoli, dove la conoscenza del fotografo di moda tedesco Willy Maywald le consente di frequentare artisti come Braque, Chagall, Utrillo, Cocteau, Vivien Leigh e stilisti del calibro di Dior. E dove incontra nel 1949 il pittore americano Hugh Weiss (1925-2007), con il quale Sabine si sposa l’anno successivo prendendo il suo cognome. Con lui si trasferisce in un atelier adatto a ospitare le attività di entrambi e, negli anni, a diventare altresì dimora famigliare. U na vita, tante vite. Uno sguardo attraversato da tanti sguardi. Una vocazione coltivata con cura, dedizione per circa ottant’anni. Un percorso lungo dove la gioia del momento e l’esperienza di sentirsi in comunione “emotiva” con il soggetto ritratto hanno permesso a Sabine Weiss di rinnovare in ogni attimo la sua capacità espressiva, la sua ferma intenzione di entrare in contatto con il mondo usando la fotografia, da lei vissuta anche in modo molto pragmatico come mezzo di sostentamento. Una professione a tutti gli effetti, un mestiere scelto all’età di diciotto anni che ha rappresentato inoltre la sua più profonda passione. New York 1955. Nel loro primo viaggio fanno tappa nel paese natale di lei per procedere poi in Italia (Piemonte, Lombardia, Veneto). Seguo no numerosi altri viaggi - in paesi come Stati Uniti, Europa, Me dio Oriente, Marocco, Etiopia, Giappone, Cina, India, Birmania, Brasile, Cuba, Corea - fatti perlopiù insieme. Sabine, per scatta re le sue fotografie spesso si deve spostare e Hugh, entusiasta del lavoro della moglie, la incentiva, la sostiene e l’accompagna. I primi passi decisivi, Weiss, una delle poche donne fotogra fe indipendenti negli anni Cinquanta, li compie nella capitale francese. La strada, il quotidiano, le persone - sole, fragili -, gli anziani, i bambini, la miseria, la povertà, il disagio, le situazioni di marginalità fin da subito attirano la sua attenzione con quell’approccio “umanista” che le è particolarmente congeniale e che trova in autori quali Doisneau, Brassaï, Izis, Ronis, Boubat i suoi rappresentanti più noti. Lei, unica presenza fem minile di questo gruppo, è così apprezzata da entrare a far parte (su invito di Doisneau) della prestigiosa agenzia Rapho. C’è da dire però che l’occhio di Sabine spazia ovunque: dalla pubblicità alla moda, a servizi per riviste di viaggio - con l’uso soprattutto del colore - dai reportage sociali ai ritratti di ar tisti e sconosciuti immortalati, invece, in bianco e nero. Una varietà di generi, ambienti, identità, che la porta ad avere tra i suoi committenti innumerevoli testate internazionali - quali “Picture Post”, “Le Ore”, “Paris Match”, “Vogue”, “The New York Times”, “Newsweek”, “Life” - e che la induce a rifiutare di essere classificata in una categoria particolare. Da Dior, Parigi 1958. Per comprendere la sua poetica, nessuna tipologia di immagine può essere esclusa. Ed è ciò che la fotografa svizzera, naturalizzata francese, ha avuto a cuore quando è stato il momento di ideare il progetto espositivo alla - al quale ha dato un grande contributo -, coprodotto dal Jeu de Paume di Parigi, Les Rencontres de la Photographie di Arles, l’Estate di Sabine Weiss, il Musée Photo Elysée di Losanna. Weiss desidera che siano ben chiari i tasselli di tutto il suo lavoro portato avanti con la consapevolezza di aver sfruttato, in ogni occasione, quella tensione vibrante provata nell’istante dello scatto. Di essere, come ci ha raccontato la curatrice della mostra veneziana, Virginie Chardin, «sempre completamente assorbita nel momento presente, nell’azione, con assoluta spontaneità». Sabine Weiss. La poesia dell’istante Casa dei Tre Oci di Venezia (fino al 23 ottobre, www.treoci.org) Porte de Saint-Cloud, Parigi 1950. quartiere della Giudecca per ammirare la più esaustiva retrospettiva mai realizzata sulla grande protagonista della fotografia mondiale (la prima nel nostro paese), le immagini ci colpiscono non solo per i contenuti ma anche per la loro “sintassi compositiva”, caratterizzata da inquadrature ben definite ma non congelate in un cieco rigore. Al contrario, troviamo una struttura scandita da tagli, luci, ombre e sbocchi narrativi inattesi e repentini che creano movimento tra il centro e la periferia, tra gli elementi in primo piano e quelli immediatamente dietro o sullo sfondo. E ancora, la galleria visiva che osserviamo - con circa duecento opere, oltre a libri e a estratti di film dedicati a Weiss - ci permettono di coglierne anche lo humour e l’ironia. Durante la nostra visita nelle sale del suggestivo spazio nel La fotografa ama tutto ciò che fa ma non nasconde di preferire i reportage di stampo sociale in bianco e nero: le consentono una maggiore libertà estetica ed emozionale, una pratica più immediata, punti di fuga di più ampio respiro. «Testimone e artigiana della fotografia», così si definisce con orgoglio, Sabine Weiss si è spenta il 28 dicembre 2021 nella sua casa di Parigi. Mancava la sua presenza alla conferenza stampa del 10 marzo scorso alla Casa dei Tre Oci, ma i resoconti fatti dall’équipe che ha reso possibile l’evento - oltre a Chardin, Laure Delloye Augustins, assistente della fotografa negli ultimi dieci anni, Denis Curtis, direttore artistico dell’istituzione veneziana - e le dichiarazioni commosse della figlia Marion hanno reso la sua assenza meno assordante. New York 1955. La mostra Sabine Weiss. La poesia dell’istante (Venezia, Casa dei Tre Oci, fino 23 ottobre) sarà poi allestita al Palazzo ducale di Genova (date ancora da definire). Inoltre, il Musée Photo Elysée di Losanna nel 2024 dedicherà una grande retrospettiva alla fotografa per il centenario della sua nascita.