Dentro l'opera 

IL DIPINTO
COME MANUFATTO

di Cristina Baldacci

Un primo piano su opere meno note dal secondo Novecento a oggi, per scoprirne il significato e l’unicità nel continuum della storia dell’arte: Lawrence Carroll, Untitled (Hand Painting)

Gioca con il doppio senso di “pittura a mano” e “dipinto della mano” l’Untitled della fine degli anni Novanta di Lawrence Carroll, artista che ha saputo sapientemente unire natura materica e afflato poetico del linguaggio pittorico.


L’opera appartiene alla serie dei white paintings”, tele con cui Carroll rivisita il concetto stesso di monocromia attraverso l’uso di un bianco “sporco”, non solo perché perlopiù unito a tonalità ocra, gialle, avorio, ma anche perché frutto di una complessa stratificazione. I diversi elementi compositivi, pittura, cera (un richiamo alla pittura a encausto dell’antichità), frammenti di tela ricuciti tra loro, il legno del telaio, si combinano dando corpo al dipinto (come avviene per i Combines di Robert Rauschenberg, uno dei modelli di riferimento di Carroll), sottolineandone la tridimensionalità a discapito della bidimensionalità.


Pittura come oggetto non come superficie, dunque, come attesta un’altra sua serie, quella dei “box paintings”, dove la tela diventa una scatola con diversi scomparti che accolgono oggetti prelevati dal quotidiano come fossero piccole meraviglie da conservare. Anche nei white paintings” l’anti-illusionismo pittorico è accresciuto dalla presenza di elementi concreti (un paio di scarpe, una lampadina, un mazzo di fiori finti) oppure modellati, come il paio di mani di cera che, agganciate a due fili di metallo, pendono sul lato basso della tela. Sono una presenza dimessa e al tempo stesso lirica, che parla dell’arte come lavoro manuale e spirituale.


Non a caso, tra i pittori del passato più amati da Carroll c’è Giorgio Morandi, con cui l’artista americano, di origini australiane (Melbourne 1954-2019), che visse per anni anche in Italia, prima a Venezia, poi a Roma, condivide l’uso di colori neutri e forme semplici, la predilezione per il vuoto metafisico, la concretezza del fare pittura, che per entrambi si esprime anche nell’esecuzione a mano del telaio.


I dipinti di Carroll sono riflessioni sul tempo della vita, ma più ancora della pittura, linguaggio che per lui torna sempre, si reinventa in continuazione e per questo rimane vivo.

«Quello che continua a coinvolgermi», ha commentato a questo proposito, «è che le forme dei miei quadri cambiano continuamente, si modificano, mi portano verso nuovi campi» del fare, della conoscenza, del sentire.