Outsiders QUANTI RICORDI ENTRANO IN UNA SCATOLA? di Alfredo Accatino Un viaggio alternativo nell’arte del Novecento, alla scoperta di grandi artisti, opere e storie spesso dimenticate: Joseph Cornell Ma si imbatte spesso in oggetti abbandonati vicino ai cassonetti, o che acquista per pochi cent sulle bancherelle del Village: fotografie, giocattoli rotti, pappagallini impagliati (adora i pappagalli), cartoline... So come funziona. All’inizio ne deve aver preso uno per pura curiosità. Il giorno dopo un altro, e poi un altro ancora, sino a dare la caccia agli oggetti, assegnando loro un valore che alla gente normale sfugge, sino a quando sono gli oggetti che iniziano a dare la caccia a te, e si diventa collezionisti seriali. Joseph li conserva in scatole di cartone, vi scrive sopra il contenuto (conchiglie di plastica, bambole, insetti alati…) come raccontano le fotografie scattate da Harry Roseman alla fine degli anni Sessanta, e le impila nello scantinato della casetta con giardino al 3708 di Utopia Parkway nel Queens, dove passerà praticamente tutta la vita, e che è giunta sino a noi intatta. La cosa che lo rende differente dall’essere un semplice accumulatore è che è un grande artista. In questo simile a Andy Warhol (ottomila metri quadrati di “time capsule”, alcune delle quali mai aperte) o a Stanley Kubrick, che ha conservato un migliaio di scatole ricolme di appunti e ricordi. Un artista così visionario da ottenere il rispetto di Duchamp, Motherwell, Rothko, De Kooning, da meritarsi una retrospettiva al Guggenheim Museum e al Metropolitan, come uno dei più straordinari artisti alternativi dell’arte americana del Novecento. Uomo solitario, trascorre la vita a casa con la madre e con il fratello minore Robert, bloccato da paralisi cerebrale, accudendolo con infinito affetto per oltre cinquant’anni. Mai una notte fuori casa, quasi monacale nello stile di vita, magro, colto, vagamente somigliante a Cocteau, non ha mai superato la cinta urbana della città. Il solo svago, i “viaggi”: le fughe in metropolitana sino a Manhattan, dove gira per librerie e rigattieri, unico lusso un sandwich alle uova e un caffè. M entre nel 1929 Wall Street crolla, trascinando il mondo in un baratro, un ragazzo allampanato suona con poca fortuna ai campanelli cercando di vendere frigoriferi. Rimasto orfano a quattordici anni, Joseph Cornell è stato arruolato dalla vita a fare da subito il capofamiglia, e dopo un’esperienza in fabbrica lavora come venditore porta a porta, percorrendo tutto il giorno a piedi il Lower Manhattan a New York. Sale le scale, scende le scale, quasi sempre lo mandano via. Habitat Group for a Shooting Gallery (1943). fine degli anni Venti, e quando scopre il romanzo collage di Max Ernst comprende che l’arte visiva non è solo pittura o scultura e si sente rinfrancato. Percepisce di essere un artista e non solo un accumulatore. Aveva iniziato ad assemblare gli oggetti in Shadow Boxes alla La Femme 100 Têtes Crea teatrini dell’assurdo cabinets de curiosités”, scatole magiche, poesie tridimensionali. Oggetti senza importanza vengono elevati a icone per diventare “Wunderkammern” di ricordi ed emozioni dell’infanzia (chi non ha posseduto una scatolina piena di tesori?). , “ Colpito dal suo lavoro, che scopre per caso, il famoso gallerista Julian Levy lo invita a partecipare alla , New York 1932, anche se Cornell non farà mai pienamente parte del movimento. Prima mostra surrealista Per trentacinque anni continuerà a creare assemblage vivendo sempre in maniera ascetica, ma in contatto con il mondo: disegna tessuti e progetti grafici per “Harper’s Bazaar”, “Vogue”, “House and Garden”. Realizza anche uno dei sogni di sua madre: il cinema (era una sceneggiatrice mancata), scrivendo e girando una lunga serie di produzioni sperimentali. Durante la proiezione di un suo corto alla Julien Levy Gallery (così famosa da ospitare anche la prima del film di Luis Buñuel), avviene un confronto impossibile tra lui e Salvador Dalí. Il quale, con i suoi abituali modi da trombone, si sarebbe alzato in piedi a metà proiezione affermando che «l’idea del film gli era stata rubata dalla mente!», facendo sprofondare il timido Cornell nell’imbarazzo più totale. Un chien andalou Joseph Cornell mentre partecipa a un evento, New York, 3 novembre 1970. «Cos’è un ricordo? Qualcosa che hai o qualcosa che hai perso per sempre?». Isabel Allende Il successo che incontrano le sue opere è tale che negli anni Cinquanta dovrà ingaggiare dei collaboratori per confeziona re le sue creature, che trasudano una leggerezza e un’ironia che non ti aspetti. Realizza serie dedicate a personaggi impor tanti, attori, cantanti, sportivi, dichiarando il suo amore per l’I talia e l’arte rinascimentale, per le illusioni ottiche e le mappe geografiche. Da quando il fratello, nel 1965, viene a mancare, Cornell, che potrebbe avere finalmente più tempo, cesserà gradualmente di produrre nuove scatole, limitandosi a restaurarle. Nato nel 1903 da famiglia di origini olandesi a Nyack, villaggio di cinquemila abitanti che aveva dato i natali anche a Edward Hopper, Joseph Cornell muore a New York nel 1972 per un attacco cardiaco. Al telefono la sorella registrò le sue ultime parole: «Avrei dovuto essere meno riservato». Blue Soap Bubble (1949-1950), Madrid, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza.