Outsiders 


QUANTI RICORDI
ENTRANO IN UNA SCATOLA?

di Alfredo Accatino

Un viaggio alternativo nell’arte del Novecento, alla scoperta di grandi artisti, opere e storie spesso dimenticate: Joseph Cornell

Mentre nel 1929 Wall Street crolla, trascinando il mondo in un baratro, un ragazzo allampanato suona con poca fortuna ai campanelli cercando di vendere frigoriferi. Rimasto orfano a quattordici anni, Joseph Cornell è stato arruolato dalla vita a fare da subito il capofamiglia, e dopo un’esperienza in fabbrica lavora come venditore porta a porta, percorrendo tutto il giorno a piedi il Lower Manhattan a New York. Sale le scale, scende le scale, quasi sempre lo mandano via.

Ma si imbatte spesso in oggetti abbandonati vicino ai cassonetti, o che acquista per pochi cent sulle bancherelle del Village: fotografie, giocattoli rotti, pappagallini impagliati (adora i pappagalli), cartoline...
So come funziona. All’inizio ne deve aver preso uno per pura curiosità. Il giorno dopo un altro, e poi un altro ancora, sino a dare la caccia agli oggetti, assegnando loro un valore che alla gente normale sfugge, sino a quando sono gli oggetti che iniziano a dare la caccia a te, e si diventa collezionisti seriali. Joseph li conserva in scatole di cartone, vi scrive sopra il contenuto (conchiglie di plastica, bambole, insetti alati…) come raccontano le fotografie scattate da Harry Roseman alla fine degli anni Sessanta, e le impila nello scantinato della casetta con giardino al 3708 di Utopia Parkway nel Queens, dove passerà praticamente tutta la vita, e che è giunta sino a noi intatta.
La cosa che lo rende differente dall’essere un semplice accumulatore è che è un grande artista. In questo simile a Andy Warhol (ottomila metri quadrati di “time capsule”, alcune delle quali mai aperte) o a Stanley Kubrick, che ha conservato un migliaio di scatole ricolme di appunti e ricordi. Un artista così visionario da ottenere il rispetto di Duchamp, Motherwell, Rothko, De Kooning, da meritarsi una retrospettiva al Guggenheim Museum e al Metropolitan, come uno dei più straordinari artisti alternativi dell’arte americana del Novecento.
Uomo solitario, trascorre la vita a casa con la madre e con il fratello minore Robert, bloccato da paralisi cerebrale, accudendolo con infinito affetto per oltre cinquant’anni. Mai una notte fuori casa, quasi monacale nello stile di vita, magro, colto, vagamente somigliante a Cocteau, non ha mai superato la cinta urbana della città. Il solo svago, i “viaggi”: le fughe in metropolitana sino a Manhattan, dove gira per librerie e rigattieri, unico lusso un sandwich alle uova e un caffè.